Origine del termine “carosello”

Filippo Gagliardi  e Filippo Lauri, La Giostra dei Caroselli nel cortile di Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia, 1656-1659, Museo di Roma, Palazzo Braschi
Filippo Gagliardi e Filippo Lauri, La Giostra dei Caroselli nel cortile di Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia, 1656-1659, Museo di Roma, Palazzo Braschi

di Giovanni Battista Tomassini

Quando la prima squadra di cavalieri fece il proprio ingresso nel cortile illuminato a giorno, dai palchi e dalle gradinate assiepate di pubblico si levò un mormorio di meraviglia, che per un momento sovrastò lo squillo delle trombe e il rullare dei tamburi. Dodici cavalieri, montati su superbi ginnetti bardati di finimenti turchini ricamati d’argento, avanzavano indossando costumi e mantelli dello stesso colore e altissimi cimieri di penne, così grandi e sontuosi che si stentava a credere potessero sostenerli sopra la testa, mentre cavalcavano. Erano preceduti da un corteo di otto trombettieri e ben centoventi palafrenieri, tutti vestiti dei medesimi colori. Li seguiva un carro allegorico, trainato da tre cantanti, che rappresentavano le tre Grazie, ma che in realtà era mosso da facchini, nascosti dal magnifico apparato. Portava un fanciullo che impersonava Roma in veste di Amore. Mentre sfilavano, dall’altro lato, entrarono altri dodici cavalieri, anch’essi preceduti da un analogo corteo. I colori delle loro divise, così come i finimenti dei loro focosi cavalli, erano però rosso e oro. Li seguiva un carro, anche questo trainato da tre cantanti, mascherati come le Furie. Portava un altro musico che, con atteggiamento minaccioso, personificava lo Sdegno.

Era la notte del 28 febbraio del 1656. Circa due mesi prima, a Roma era arrivata Cristina di Svezia, che il 10 giugno del 1654 aveva rinunciato al trono ed era fuggita in incognito dal suo paese per abiurare la fede protestante e convertirsi al cattolicesimo. Il Papa, Alessandro VII, l’aveva accolta trionfalmente e aveva decretato grandiosi festeggiamenti per il successivo carnevale. Maffeo Barberini, principe di Palestrina, la cui famiglia era potuta finalmente ritornare a Roma dopo l’esilio forzato a Parigi dovuto all’inimicizia del precedente Papa, approfittò dell’occasione per offrire una festa grandiosa nel cortile del suo Palazzo. Con quello spettacolo magnifico celebrava la regina convertita e la potenza ritrovata della sua famiglia.

Sébastien Bourdon, Cristina di Svezia, 1653, Madrid, Museo del Prado
Sébastien Bourdon, Cristina di Svezia, 1653, Madrid, Museo del Prado

La lunga coreografia del corteo iniziale e la complessa allegoria ad esso sottesa ci sono stati tramandati dalle cronache dell’epoca e da un grande quadro di Filippo Gagliardi, che si avvalse della collaborazione di Filippo Lauri per la realizzazione delle figure dei cavalieri. Cuore dello spettacolo era un gioco equestre molto diffuso a partire dal sedicesimo secolo. Consisteva in una battaglia simulata, in cui due squadre di cavalieri si affrontavano scagliandosi reciprocamente dei proiettili di argilla.

Dopo aver sfilato in pompa magna davanti al pubblico, i cavalieri indossarono elmi più leggeri e si liberarono dei mantelli, per restare protetti da corazze, che coprivano il torso e le braccia, e da piccoli scudi rotondi. Poi le due squadre, che rappresentavano una i cavalieri romani e l’altra le Amazzoni, si sfidarono a distanza e simularono uno scontro a fuoco, con pistole caricate a salve. Seguì un ulteriore intermezzo, nel corso del quale vennero distribuite ai cavalieri delle palle d’argilla. Quindi cominciò la giostra vera e propria:

Si spiccarono in tanto dalla loro schiera due Cavalieri con gli scudi imbranditi nella sinistra, e con li pomi nella destra, e di galoppo scagliatisi a fronte delle schierate Amazzoni con ardire martiale, gli avventarono contro i pomi, voltando velocemente sulla destra, incalzati da due delle Amazzoni, che dando loro la carica gli seguirono sino al loro proprio squadrone. Di qui spiccati tre Cavalieri diedero alle Amazzoni la fuga, ritornando esse verso la squadra amica, dalla quale di mano in mano sortendo quattro, poi cinque, e sei per volta, e in fine tutte insieme, fecero un mescuglio così bello, ben condotto, e destro, che non potevano gli occhi de’ spettatori satiarsi di contemplarlo. (GUALDO PRIORATO, 1656, p. 309)

Anonimo bolognese, Giostra di carosello a cavallo, XVII sec. Conservatorio del Baraccano, Bologna
Anonimo bolognese, Giostra di carosello a cavallo, XVII sec. Conservatorio del Baraccano, Bologna

Lo scontro seguiva regole precise. Le due squadre si schieravano ai due lati opposti del campo. Quindi un primo drappello di cavalieri galoppava sino a portarsi a distanza di tiro dagli avversari e scagliava i suoi proiettili. A quel punto gli assaliti partivano al contrattacco, inseguendo gli altri che ripiegavano verso la schiera amica. Quando, a loro volta, erano arrivati nel campo avverso, gli inseguitori scagliavano le palle di argilla contro gli scudi con cui i fuggitivi si proteggevano e, voltati rapidamente i cavalli, si davano alla fuga. A quel punto, i ruoli si invertivano di nuovo.

Questo tipo di gioco cavalleresco era stato introdotto in Italia dagli spagnoli, che a loro volta lo avevano mutuato dagli arabi, come testimonia l’abitudine di disputarlo in abiti “alla moresca”. Si declinava in diversi tipi di giostre “incruente”. Oltre a questa battaglia dei proiettili d’argilla era anche molto diffuso il cosiddetto “gioco delle canne”, in cui i cavalieri si inseguivano scagliandosi canne dalla punta invescata con una sostanza adesiva, perché restassero incollate all’armatura dell’avversario. All’epoca della dominazione aragonese su Napoli, lo stesso re Alfonso il Magnanimo e suo figlio Ferrante, non esitavano a prendere parte a questo tipo di cimenti cavallereschi. Come accadde in occasione dei festeggiamenti tenutisi, nel 1452, in occasione della visita a Napoli dell’imperatore Federico III, che era sceso in Italia per essere incoronato imperatore dal Papa Nicolò V e per sposare Eleonora del Portogallo. Preceduta da uno splendido corteo a cavallo, la giostra s’era tenuta sulla piazza dell’Immacolata e i cronisti dell’epoca non mancarono di adulare i regnanti, esaltando le virtù cavalleresche del sovrano e di suo figlio (cfr. LAWE, 2005).

La visita a Napoli dell’imperatore Federico III, nel 1452, venne celebrata da splendide cavalcate e da giochi cavallereschi (Pinturicchio, Enea Silvio presenta Eleonora del Portogallo a  Federico III, Siena Libreria Piccolomini)
La visita a Napoli dell’imperatore Federico III, nel 1452, venne celebrata da splendide cavalcate e da giochi cavallereschi
(Pinturicchio, Enea Silvio presenta Eleonora del Portogallo a Federico III,
Siena, Libreria Piccolomini)

Nel 1559, la morte del re di Francia Enrico II, a seguito di un incidente nella giostra che si disputava durante i festeggiamenti del matrimonio di sua figlia Elisabetta con Filippo II di Spagna, diede particolare impulso alla diffusione di questo tipo di giochi a cavallo. L’Europa rimase infatti profondamente scossa dalla morte del sovrano e ai vecchi tornei, retaggio della cultura cavalleresca medievale, andarono progressivamente sostituendosi giochi meno cruenti, che richiedevano  un’equitazione più sofisticata, per far brillare le qualità dei cavalieri senza esporli a rischi mortali. D’altra parte, anche in questo tipo di prove, poteva comunque accadere che i partecipanti venissero presi da un’eccessiva foga e che la tenzone trascendesse in rissa. Lo dimostra la raccomandazione di Antonino Ansalone, cavaliere della Compagnia della Stella di Messina, che nel 1629 pubblicò un’opera dedicata ai giochi e agli spettacoli equestri. Ansalone innanzitutto ricordava la natura ludica e tutt’al più di esercitazione di queste giostre e per questo invitava i partecipanti a non farsi prendere da un eccessivo spirito competitivo, raccomandando di scagliare i proiettili al momento opportuno, mirando agli scudi e interrompendo il gioco non appena veniva decretato dai maestri di campo:

Or perché i giuochi, e mascherate nel tempo del carnovale, e in ogni altra stagione, si fanno per onorato trattenimento delle Città, e loro magnificenze, oltre l’esercizio de i Cavalieri; per tanto si riguarderà ciascuno di fare l’azione in maniera che giuoco non abbia infelice successo. Il che suole accadere quando i Cavalieri trasportati da troppo desiderio di correre appresso il nemico, sono scorsi tanto oltre, che uscendo de’ termini del giuoco, non volendolo osservare con la modestia, che si conviene, così nel colpire, come nel targarsi a tempo giusto, non hanno potuto poi fuggire il pericolo di venire alle mani da senno. Onde per aver buon esito il giuoco, deve ogn’uno tirar a tempo nelle targhe, e non a contratempo, con tanto sforzo, ma con garbo non affettato, e volendosi dar fine, al segno che daranno i Maestri di Campo con tiri di moschetteria, ogni Cavaliere fermerà il suo destriero, e si ritirerà nella sua torma, sotto il suo capo. (ANSALONE, 1629, pp.106-107)

Nel 1559, il re di Francia Enrico II morì a seguito di un incidente in un torneo (J. Tortorel & J. Perrissin, Les Quarante Tableaux ou Histoires diverses…, 1569)
Nel 1559, il re di Francia Enrico II morì a seguito di un incidente in un torneo
(J. Tortorel & J. Perrissin, Les Quarante Tableaux ou Histoires diverses…, 1569)

Il gioco subì anche ulteriori variazioni. Ad esempio, nella giostra tenutasi a Firenze, il 5 luglio 1558, in occasione delle nozze di Lucrezia de’ Medici con Alfonso II d’Este, i cavalieri si contendevano dei pentolini di coccio pieni di piume. Per non romperli e non disperdere le piume, cavalli e cavalieri dovevano muoversi con estrema leggerezza (Cfr. MORI, 2011, p. 83). A questo stesso genere di giochi equestri incruenti appartenevano anche la corsa all’anello, in cui il cavaliere doveva infilare la punta della lancia in un anello sospeso a mezz’aria, oppure la “quintana”, o “giostra del saracino”, nella quale il cavaliere doveva colpire un bersaglio posto al braccio di un manichino girevole. Furono molto popolari in tutt’Europa e si continuarono a praticare per secoli.

Nel
Nel “gioco delle canne” i cavalieri si inseguivano scagliandosi canne dalla punta invescata
(dettaglio de La giostra di carosello a cavallo, XVII sec., Conservatorio del Baraccano, Bologna)

Non molti sanno, però, che il tipo di giostra tenutasi nel cortile di Palazzo Barberini, quella cioè in cui le squadre combattevano con proiettili d’argilla è all’origine del termine “carosello”, poi divenuto largamente diffuso in ambito equestre e tuttora in uso per designare le esibizioni di più cavalieri e gli esercizi di abilità di reparti militari montati. Le palle di creta che i cavalieri si scagliavano l’uno contro l’altro, in spagnolo si chiamavano infatti alcancias, ma in napoletano venivano dette caruselli (nome dialettale sopravvissuto per i salvadanai rotondi di terracotta, che curiosamente in spagnolo si chiamano per l’appunto alcancias). A Napoli i proiettili d’argilla venivano detti caroselli, o carusielli, perché somiglianti a teste rasate, cioè, in dialetto napoletano, a “carusi”. La giostra dei caruselli, o caroselli, venne portata a Napoli dai dominatori prima aragonesi e poi spagnoli e da qui si diffuse in tutt’Italia. «Ed ecco  – spiega Benedetto Croce – l’origine napoletanesca sì, ma genuina, del nome “carosello”, che fu poi dato ad altre forme di tornei, e passò in Francia e vi divenne “caroussel”» (CROCE, 1922, pp. 194-195). Il termine finì infatti per indicare estensivamente le manifestazioni equestri in cui squadre di più cavalieri inscenavano coreografie complesse, dimostrando la loro abilità e il raffinato livello di addestramento delle loro cavalcature.

Anonimo Le “Roman de chevaliers de la gloire”, grand caroussel donné place Royale du 5 au 7 avril 1612. À l’occason du mariage de Louis XIII avec Anne d’Autriche, intorno al 1612 Parigi, Musée Carnavalet
Nel 1612 a Parigi si tenne un grande carosello.
Antoine del Pluvinel ideò la coreografia del balletto a cavallo
(Anonimo, Le “Roman de chevaliers de la gloire”, circa 1612, Parigi, Musée Carnavalet)

È proprio in Francia che questo tipo di manifestazioni assunse le forme più spettacolari e celebri, come nel caso del carosello tenutosi dal 5 al 7 aprile del 1612 a Parigi, per celebrare l’alleanza franco-spagnola e i matrimoni incrociati di Luigi XIII con Anna d’Austria e di Elisabetta di Borbone con Filippo IV. Vi prese parte il fiore della nobiltà francese. Fu introdotto da un corteo di macchine sceniche, animali esotici, carri e cavalieri. Il balletto equestre, che precedette le giostre all’anello e le quintane, venne coreografato da Antoine de Pluvinel, maestro d’equitazione di Luigi XIII e autore del celebre L’instruction du roi en l’exercice de monter à cheval (1625).

Israel Silvestre, François Chauveau, Gilles Rousselet
Il gran carosello voluto dal Luigi XIV, nel 1662,
per celebrare la nascita del Gran Delfino,
fu il più sontuoso spettacolo pubblico del regno del “Re Sole”
(Charles, Perrault, Courses de testes et de bague…1670)

Se possibile, ancora più sontuoso fu il carosello organizzato nel 1662, sotto il regno di Luigi XIV: ufficialmente per festeggiare la nascita del Gran Delfino, ma in realtà per celebrare il potere assoluto del Re Sole. Fu il più sontuoso spettacolo pubblico del regno di Luigi XIV, aperto da un’immensa parata di cavalli e cavalieri, accompagnati da un moltitudine di staffieri e attendenti. Ce ne è rimasto un resoconto dettagliato nella relazione ufficiale redatta da Charles Perrault, accademico di Francia e autore di celebri favole (sì, proprio quello di Cappuccetto rosso e il Gatto con gli stivali). Un libro (cfr. PERRAULT, 1670) ornato da meravigliose incisioni, che ci restituiscono lo splendore dei magnifici costumi realizzati dai migliori sarti di Francia e la bellezza degli splendidi cavalli, sontuosamente bardati.

Charles, Perrault, Courses de testes et de bague…1670

Bibliografia

ANSALONE, Antonino, Il cavaliere, Messina, nella Stamperia di Pietro Brea, 1629.

BALESTRACCI, Duccio, La festa in armi. Giostre, tornei e giochi nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 2001.

CROCE, Benedetto, La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, 2a ed. riveduta, Bari, Laterza, 1922.

FRANCHET D’ESPÈREY, Patrice , L’équitation italienne, sa trasmission et son évolution en France au temps de la Reinassance, in AA.VV. Les Arts de l’équitation dans l’Europe de la Reinassance. VIIe colloque de l’Ecole nationale d’équitation au Chateau d’Oiron (4 et 5 octobre 2002), Arles, Actes Sud, 2009, pp. 158-182.

GUALDO PRIORATO, Galeazzo, Historia della Sacra Real Maestà di Christina Alessandra Regina di Svetia, &c, Stamperia della Reverenda Camera Apostolica, Roma, 1656.

LAWE, Kari, L’alta scuola equestre aragonese. I re aragonesi di Napoli e l’alta scuola equestre, in “Eos”, editore Fondazione Emilio Bernardelli, Anno 4, 2005, n. 10, pp. 9-18.

MORI, Elisabetta, L’onore perduto di Isabella de’ Medici, Milano, Garzanti, 2011.

PERRAULT, Charles, Courses de testes et de bague faittes par le roy et par les princes et seigneurs de sa cour en l’année 1662, Paris, Imprimerie  Royale, 1670-

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