Il morso che domò il cavallo volante: Pegaso e Bellerofonte
di Giovanni Battista Tomassini
Nella tredicesima delle sue odi Olimpiche, Pindaro racconta che Bellerofonte, principe di Corinto, penò per molto tempo nel tentativo di cavalcare l’indomabile cavallo alato, Pegaso. Non è difficile immaginare perché volesse montarlo a tutti i costi. Era un animale prodigioso, nato dal terreno bagnato dal sangue della Medusa o, secondo altri, addirittura scaturito dal suo collo, quando Perseo l’aveva tagliato con una falce, uccidendola. Il cavallo era subito volato verso la dimora degli immortali e da allora viveva nella casa di Zeus, al quale portava il lampo e il tuono. Un giorno però, Pegaso si posò nei pressi della fonte Peiréne, non molto distante dalla rocca di Corinto. Il principe lo vide e cercò di avvicinarlo, ma il cavallo si difese con selvaggia irruenza. Eppure proprio i suoi scarti violenti e la sua sfrenata spavalderia non facevano che accendere ancora di più il desiderio del giovane di poterlo cavalcare.
Stremato, alla fine, Bellerofonte si rivolse all’indovino Polido, che gli consigliò di dormire nel tempio di Atena. Appena si fu addormentato, la dea gli apparve in sogno. Porgendogli un morso fatto d’anelli d’oro, gli sussurrò di prenderlo e di sacrificare un toro a Poseidone. Subito l’eroe si risvegliò, trovando al suo fianco il freno divino. Corse da Polido a raccontargli l’accaduto e questi gli ordinò di ubbidire al sogno e di dedicare un altare ad Atena Hippia.
La forza degli dei, commenta Pindaro, compie con facilità quello che si sarebbe giurato impossibile. Così, grazie al morso prodigioso, Bellerofonte sottomise immediatamente l’impetuoso cavallo volante. Appena gli ebbe messo il morso, gli balzò in groppa, indossando le sue armi di bronzo ed eseguendo con lui i passi di una danza guerriera. Sulla sua groppa, in seguito l’eroe sconfisse le Amazzoni, uccise la Chimera e sbaragliò i Solimi.
Il racconto della doma di Pegaso presenta diversi motivi di interesse. Oltre che in Pindaro ricorre in Esiodo (Teogonia) e in diversi altri autori, mentre Omero, che parla di Bellerofonte (nel VI canto dell’Iliade), non lo associa al cavallo alato. Poseidone vi viene qualificato con l’appellativo di damaios vale a dire “domatore”, a sottolineare il legame intimo di questa divinità con i cavalli, che ne fa il protettore dei cavalieri e degli aurighi, oltre che la divinità tutelare dei giochi equestri. Anche Atena vi appare come dea dell’arte equestre, dispensatrice dello strumento che d’incanto “vince la mente” dell’animale selvaggio. Soprattutto, però, la doma del cavallo vi appare come un momento unico, in cui grazie a uno strumento divino l’eroe riesce a soggiogare l’animale che, da riottoso e violento, diviene immediatamente docile. Soprattutto risalta il ruolo del morso come strumento essenziale della comunicazione tra l’uomo e il cavallo. Anticipando una tendenza che avrà particolare sviluppo durante il Rinascimento, quando l’arte di “imbrigliare”, vale a dire la capacità di scegliere la corretta imboccatura per ciascun esemplare, sarà considerata «la vera pietra di paragone del cavallerizzo» (Claudio Corte, Il cavallarizzo, 1562, p. 80r).
Bibliografia:
PINDARO, Olimpiche, XIII
ESIODO, Teogonia, v. 281-286 e 325
PAUSANIA, Viaggio in Grecia, II, 31, 9 e IX, 31, 3.
OVIDIO, Metamorfosi, V, 250-268
WAGNER, Marc-André, Dictionnaire mythologique et historique du cheval, Monaco, Éditions du Rocher, 2006.