Mantelli, balzane, liste e la teoria degli umori

Diego Velasquez – Ritratto equestre di Filippo IV (1635-36)
© Museo del Prado – Madrid
Anticamente si credeva che le zampe con le balzane
fossero più lente e deboli delle altre

di Giovanni Battista Tomassini

Nell’antichità e sino a tutto il Rinascimento e oltre era diffusa la convinzione che il colore e i segni (come balzane, liste e altro) del mantello dei cavalli testimoniassero la natura, le inclinazioni e le specifiche caratteristiche di ciascun esemplare. Questa credenza portava a preferire alcuni mantelli, considerati espressione di una natura più affidabile e sana, e a scartarne altri, ritenuti segno di una “complessione” sfavorevole. Se ne trova esplicita menzione in tutta la trattatistica Rinascimentale, a partire dal primo libro dedicato all’equitazione pubblicato a stampa: Gli ordini di cavalcare (1550), di Federico Grisone. Il mantello preferito dall’autore napoletano – che esprime un’opinione all’epoca corrente e non una predilezione personale – è il baio, ma mostra apprezzamento anche per il grigio pomellato e il sauro bruciato. In generale, l’autore considera i peli bianchi sintomo di debolezza e per questo suggerisce di privilegiare esemplari con le quattro estremità scure, o con balzane di ridotte dimensioni. Pur sottolineando come queste considerazioni siano tratte dall’esperienza più che dall’opinione, Grisone ammette tuttavia che spesso «questi segni falliscano, e si veda l’effetto contrario» (GRISONE, 1550, p. 4v ). Per questo, sostiene che comunque un cavallo debba essere ben formato e proporzionato e raccomanda di valutarne l’insieme, esaminandolo a partire dal basso, vale a dire dalla qualità degli zoccoli e degli arti.

Analoghe convinzioni si ritrovano nella successiva opera di Cesare Fiaschi: Trattato dell’imbrigliare, atteggiare e ferrare cavalli (1556). Anche l’autore ferrarese sostiene che il colore del mantello e i segni che lo caratterizzano siano da considerarsi indicazioni della natura dell’animale (FIASCHI, 1556, p. 38). Allo stesso modo ritiene i peli chiari come un indice di debolezza, perché in essi risiede l’umor flemmatico (FIASCHI, 1556, p. 153).

Andrea Mantegna, Dettaglio dalla
“Camera Picta” (1474)
Palazzo Ducale, Mantova
I mantelli considerati migliori erano
il baio, il grigio pomellato e il sauro bruciato

Questa concezione trovava un fondamento nella cosiddetta “teoria degli umori”, introdotta dal greco Ippocrate (IV-III secolo a.C.), considerato il padre della medicina, e poi sostenuta dal medico romano, Galeno (129-216). Questa dottrina rimase dominante nella medicina occidentale antica sino almeno al Seicento. Si trattava del primo tentativo di spiegare la causa delle malattie, superando la precedente concezione religiosa e magica, e si basava sull’idea del filosofo greco Anassimene di Mileto (IV secolo a.C.) che l’universo fosse costituito da quattro elementi fondamentali: aria, acqua, fuoco e terra. Da questi quattro elementi Ippocrate faceva discendere quattro umori di base: bile nera, bile gialla, flegma e sangue (umore rosso). Alla bile nera (o atrabile) corrispondeva la terra, al fuoco la bile gialla (detta anche collera), all’acqua il flemma e all’aria il sangue. Ai quattro umori corrispondevano quattro temperamenti (flegmatico, melanconico, collerico e sanguigno), quattro qualità elementari (freddo, caldo, secco, umido), quattro stagioni (primavera, estate, autunno ed inverno) e quattro stagioni della vita (infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia). Secondo questo schema, la salute sarebbe dipesa dall’equilibrio degli umori all’interno del corpo e il prevalere di uno di essi avrebbe influenzato la personalità del soggetto, definendone il carattere e la costituzione fisica (detta appunto “complessione”).

Claude Deruet – I quattro elementi: Fuoco (circa 1641-1642)
© Musee des Beaux-Arts, Orleans
La teoria degli umori era basata sull’idea che l’universo fosse costituito
da quattro elementi fondamentali: aria, acqua, fuoco e terra

La spiegazione più chiara e ampia di come si ritenesse che questa teoria potesse applicarsi anche ai cavalli la fornisce Claudio Corte, cavallerizzo lombardo, che pubblicò nel 1562 un libro, intitolato Il cavallarizzo, nel quale dimostra una notevole cultura letteraria, che si rispecchia nella ricchezza delle citazioni, oltre che nell’adozione di sofisticati procedimenti letterari nel suo trattato.

Secondo Corte, nel corpo degli animali il calore naturale presiede alla digestione degli umori. Questo processo genera “vapori fuliginosi”, che vengono spinti in alto dalla forza del calore medesimo ed esercitano una pressione per uscire dal corpo. La fuoriuscita avviene attraverso i pori e «per quella carne, che trovano più atta, e aperta à darli via» (CORTE, 1562, p. 23r). A contatto con l’aria si “conglutinano”, cioè si addensano, formando i peli e i crini, che sono più grossi o più sottili a seconda del maggiore o minore calore che li ha spinti fuori e assumono colori differenti a seconda dell’umore dal quale è stato generato il vapore che li ha prodotti. Allo stesso modo, i peli sono più lisci o crespi a seconda di quanto più secche, o umide, dritte o storte sono le vie per le quali sono usciti. Per questa ragione, conclude Corte, la qualità del pelame fornisce una chiara indicazione della natura dei cavalli, «della loro più calidità ò freddezza, siccità, e humidezza» (CORTE, 1562, p. 23r).

Tiziano Vecellio, Carlo V alla battaglia di Mühlberg
(1548) © Museo Nacional del Prado
I cavalli neri erano scarsamente considerati perché si reteneva
che in essi prevalesse l’umor malinconico

Il colore e le caratteristiche del pelo derivano dunque dai quattro umori (collera, malinconia, sangue e flemma) e dalle rispettive qualità (caldo, freddo, secco, umido), che corrispondono a loro volta ai quattro elementi della filosofia antica (fuoco, terra, aria, acqua). Ciascuno di questi umori e di queste qualità genera un colore di mantello: la collera produce il sauro, il sangue il baio, la flemma il grigio (leardo), la malinconia il morello. Queste qualità non sono quasi mai assolute, ma si combinano tra loro:

Et da che non si pò trovar in terra alcun corpo totalmente semplice, ò per dir meglio di semplice qualità, diremo ancora che non si troverà fuoco che non sia caldo, e secco; aere, che non sia calido, e humido, acqua che non sia humida, e fredda, terra che non sia fredda, e secca. Per il che diremo ancora, che non sia cavallo alcuno, che sia sanguigno semplice, ne colerico solo, ma si bene colerico sanguigno, colerico addusto, colerico melanconico, flemmatico sanguigno, flemmatico malenconico, malenconico terreo, e agghiacciato, e malenconico colerico… (CORTE, 1562, p. 24r)

Claude Deruet – I quattro elementi: Aria (dettaglio, 1641-1642)
© Musee des Beaux-Arts, Orleans
Secondo la teoria ippocratica l’aria corrispondeva al sangue (umore rosso)

Quanto ai mantelli Corte condivide l’opinione generale dell’epoca, che accorda una particolare preferenza al baio, al grigio pomellato e al sauro bruciato. Anche uberi e roani vengono apprezzati, perché combinano le nature dei quattro mantelli principali. Mostra, invece, scarsa considerazione per i morelli, anche se ammette che ne esistano di molto buoni. Esprime, infine, un certo scetticismo sul significato delle balzane. Non avendo trovato spiegazioni convincenti afferma di rifarsi all’autorità degli antichi, secondo i quali l’arto con la balzana sarebbe più lento e debole. Su questo punto però mantiene comunque delle riserve, concludendo che l’esperienza dimostra l’ininfluenza delle balzane e di altri segni, come liste e remolini.

Et l’esperientia delle cose maestra, mostra per fortificare l’opinion mia che la debolezza, e fortezza, prestezza, e tardezza dalle temperie di tutto il corpo, e dalla dispositione, e proportione sua, non da piccole balzane, e poco forza di poco humore nasce, e depende. (CORTE, 1562, p. 29r).

George Stubbs, Whistlejacket (1762)
© National Gallery – London
Secondo Corte, il mantello sauro era prodotto
da una prevalenza della collera (bile gialla)

È evidente come questa teoria, per quanto all’epoca fosse universalmente diffusa e riconosciuta come valida, non potesse che scontrarsi con l’osservazione diretta. Per questo, tutti gli autori sottolineano come i suoi principi dovessero essere considerati come parametri di valutazione preventiva di ciascun esemplare e non come criteri esaustivi. Lo stesso Grisone sottolinea come, per quanto ben segnato e nato sotto “una felice costellazione”, il cavallo dovesse essere ben formato e proporzionato. D’altra parte – aggiunge con buon senso l’autore napoletano – la buona natura del cavallo non basta senza la competenza del cavaliere e il corretto addestramento:

Et non pensiate che il cavallo benché sia bene organizato dalla natura, senza il soccorso humano, e la vera dottrina, possa da se stesso ben oprarsi, perché bisogna con l’arte svegliare, i membri, e le virtù occulte che in lui sono, e secondo il vero ordine, e buona disciplina più, ò meno sarà chiara la sua bontà. Anzi l’arte, quando ella è falsa, lo ruina, e gli cuopre ogni virtù, così come quando ella è buona supplisce a molte parti, ove gli manca la natura. (GRISONE, 1550, p. 10r).

Claude Deruet – I quattro elementi: Acqua (1641-1642)
© Musee des Beaux-Arts Orleans
L’acqua corrispondeva al flegma, le cui qualità erano: umido e freddo

Era quindi già ben presente allora, come deve esserlo tutt’oggi, che un cavaliere esperto e un allenamento razionale e graduale possano supplire ai difetti morfologici di un cavallo, così come un lavoro scorretto può rovinare anche le buone qualità dell’esemplare più fisicamente dotato.

Bibliografia

CORTE, Claudio, Il Cavallarizzo, Venezia, Giordano Zilletti, 1562.

FIASCHI, Cesare, Trattato dell’imbrigliare, atteggiare e ferrare cavalli, Bologna, Anselmo Giaccarelli,1556.

GRISONE, Federico, Gli ordini del cavalcare, Napoli, stampato da Giovan Paolo Suganappo, 1550

JONES, William Henry Samuel, Philosophy and Medicine in Ancient Greece, Baltimore, The Johns Hopkins Press, 1946

JOUANNA, Jacques, Ippocrate, Torino, SEI, 1994

KLIBANSKY, Raymond – PANOFSKY, Erwin – SAXL, Fritz, Saturno e la melanconia, Torino, Einaudi, 1983 (ult. Ed. 2002).

KRUG, Antje, Medicina nel mondo classico, Firenze, Giunti, 1990.

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