Il passo spagnolo: aria classica o trucco da circo?

Henri de Toulouse-Lautrec
Al circo: il passo spagnolo
Matita, pastello e caboncino
© The Metropolitan Museum – New York

di Giovanni Battista Tomassini

Si è molto discusso in passato e tuttora tra appassionati si discute se il cosiddetto “passo spagnolo” sia da considerarsi un esercizio dell’equitazione classica d’Alta Scuola, o piuttosto un’aria di fantasia, come la definisce il Generale Decarpentry (DECARPENTRY, 1949, p. 18). I detrattori lo considerano un movimento artificiale e lo disdegnano come un trucco spettacolare per strappare l’applauso a un  pubblico di bocca buona. A sostegno della loro tesi, sottolineano che la FEI (la Federazione Equestre Internazionale) lo esclude dalle arie dell’equitazione accademica e dalle competizioni di dressage. Argomentazione non molto pertinente, se si considera il fatto che la stessa Federazione non ammette nelle competizioni anche le cosiddette “arie alte”, come la levade, e i salti di scuola (courbette, cabriole), esercizi di abilità sulla cui “classicità” nessuno può certo esprimere dubbi, visto che sono codificati in tutti i trattati d’equitazione a partire dal Rinascimento e tuttora vengono praticati dalle scuole che hanno mantenuto viva la tradizione dell’alta equitazione, come quelle di Vienna, Saumur, Jerez e Lisbona.

Premesso che trovo questa disputa piuttosto stucchevole e del tutto irrilevante, ritengo però che sia di qualche utilità segnalare il fatto (trascurato anche da molti esperti) che anche il passo spagnolo viene menzionato nei primi trattati sull’arte equestre e si dimostra quindi una pratica comune alla tradizione della cosiddetta equitazione classica. Pochi infatti hanno notato che già nel primo trattato pubblicato a stampa, Gli ordini di cavalcare di Federico Grisone (1550), oltre a essere descritti gli esercizi (“maneggi”) necessari all’uso della guerra, vengono sinteticamente illustrate anche alcune arie da eseguire nei casi in cui si debba presentare un cavallo al cospetto del re, o di un principe. Nel corso dell’esibizione, il cavallo doveva dimostrare la propria forza ed eleganza, eseguendo salti come croupade (“tirar calci”), courbette e cabriole (“corvette e capriole”), ma anche dar prova della propria docilità e destrezza nel “far ciambetta”.

Paulo Sergio Perdigão e il suo stallone lusitano Ulysses. Eseguono passo spagnolo, trotto spagnolo, piaffer e jambette. Morgado Lusitano – Portogallo – 2012

La descrizione che Grisone dà di quest’ultimo esercizio è piuttosto oscura e ambigua, tanto da aver messo molti interpreti moderni su una falsa pista. L’autore non si dilunga sull’argomento, considerandolo ben noto ai suoi lettori, ma sottolinea che questo movimento «molto giova nel dargli [al cavallo] ornamento quando si maneggia» (GRISONE, 1550, 108r). Per insegnarlo all’animale, suggerisce di portarlo all’interno di un fossato esercitandolo a eseguire volte strette, utilizzando gli stessi aiuti usati per correggere il cavallo che tende a voltare prima con le anche che con le spalle. In questo modo si dovrà voltare alla mano destra e poi alla sinistra per più volte, in modo che «non potendo al chiuder che di essa [volta] farà, senza fatica grande, incavallar il braccio, temerà di si batter l’altro braccio, con quel braccio contrario alla volta; là onde egli poi per fuggire quello, bisogna che così duro di arco, e duro di collo, e fermo di testa, lo sollevi in alto e verrà con la ciambetta» (GRISONE, 1550, p. 108r).

Il senso di queste parole è piuttosto dubbio, tanto che c’è chi ha interpretato questo brano come la descrizione di un esercizio simile alla piroetta al galoppo, vale a dire un movimento «in cui il cavallo si alza sui quarti posteriori, elevando gli anteriori e, guidando con un anteriore, si volta su un circolo stretto, incrociando una gamba sull’altra» (TOBEY, 2011, p. 152). Altri considerano la parola “ciambetta” una variante di “ciambella”, termine che (in epoca a dire il vero posteriore) designava in italiano quello che oggi chiamiamo “piaffer” (BASCETTA, 1978, p. 384). A nostro avviso l’aspetto caratterizzante la descrizione di Grisone è però la sottolineatura dell’elevazione dell’arto anteriore.

Paulo Sergio e Filipa Jacome eseguono il pas de deux
Lisbona – Lusitano Festival 2012
© Andrea Kjellberg

Non chiarisce molto la natura della “ciambetta” la citazione di questo termine da parte di Claudio Corte nel suo successivo trattato intitolato Il cavallarizzo. Parlando del cosiddetto raddoppio (cioè della volta su due piste, che noi oggi chiamiamo piroetta), Corte raccomanda di esercitare il cavallo su un terreno che presenti dei rilievi, in modo da indurre il cavallo a sollevare gli anteriori nelle volte. Allo stesso modo, aggiunge, «servirebbon i medesimi montetti ad insegnargli la ciambetta che dicono, over il piegar, e levar giusto delle braccia nelle volte» (CORTE, 1562, p. 105r). Anche in questo caso appare chiaro che l’autore non si dilunga nella descrizione di questo movimento, considerandolo ben noto ai suoi lettori.

A chiarire il significato effettivo del termine è invece Pasquale Caracciolo, nel suo La gloria del cavallo (1566). Vale la pena di citare per esteso la sua descrizione del gesto e del metodo per insegnarlo:

«Ben si potrà sforzare a la Ciambetta, che molto è bella, e giovevole ai corvetti, e ai maneggi massimamente di Repoloni, a quali è necessaria sommamente, e fa assai bel vedere, perché ‘l cavallo dimostra col tenere di quel braccio alzato, star’ attissimo ad ogni menomo cenno del cavaliere. Però volendo dar’ al cavallo quest’altra dottrina, potrete nella stalla porvi alla banda destra de la Mangiatoia, dove sta legato, e indi con una bacchetta il batterete nel braccio dritto hor in una, hor in altra parte, quando leggermente, e quando forte, e si battendo l’inciterete col suono proprio de la lingua ad alzar quel braccio, il quale alzato fin tanto ch’egli terrà sospeso, voi tacendo senza batterlo, gli terrete la bacchetta su esso braccio, minacciandolo spesso, che non l’abbassi; ma ogni volta, che torni a posarlo in terra voi con la voce, e con le percosse tornarete a far levare quel braccio in alto; e così tenendolo fermo un quarto d’hora, o poco meno, gli gratterete il Garrese, per farglielo tenere più volentieri: e altre volte con simil ordine attenderete, ch’egli faccia la Ciambetta col braccio manco: poi come intenderà bene alzare hor l’uno, hor l’altro a voglia vostra, voi similmente ponendovi a percotergli con bacchetta il braccio destro, farete, che nel medesimo tempo un’altro [sic] a man sinistra pungendolo presso il luogo de le Cigne con un bastonetto, faccia il mottivo ordinario de la lingua, che così egli verrà ad alzare il braccio dritto: poscia per fargli alzar pur l’altro, voi percuotendogli il braccio manco, il farete pungere a man destra alcuna fiata piacevolmente; e alcuna volta (essendo il bisogno) con violenza: si che egli avvezzato in questo modo, ogni volta, che dal Cavaliere montato in sella egli si senta pungere, da un lato con lo sprone, sentendosi insiememente il segno solito de la lingua, s’avvezzi a levar su il contrario braccio, senza bisogno de la bacchetta, la qual non sempre si può havere, ne sempre conviene portarsi, anzi con questo uso verrà a tale, che quantunque v’accosterete a lui da l’una banda, egli da l’altra alzerà il braccio, e finché gli starete presente il terrà levato» (CARACCIOLO, 1566, pp. 427-428).

© Andrea Kjellberg

Il brano prosegue poi con la spiegazione di come continuare in sella l’addestramento avviato nella stalla. Il cavallo dovrà essere sollecitato da un aiutante, che da terra lo stimolerà con la bacchetta, percuotendogli ora l’uno, ora l’altro anteriore, mentre il cavaliere lo tocca con gli speroni, sollecitandolo con aiuti diagonali (vale a dire toccandolo dal lato opposto a quello dell’anteriore che si vuole fargli sollevare). E così, alternando ricompense e castighi, secondo Caracciolo lo si ridurrà «ad intelligenza del voler vostro» (CARACCIOLO, 1566, p.  428). Caracciolo poi suggerisce di addestrare il cavallo ad eseguire la “ciambetta” nelle volte usando un fossato, come suggerisce Grisone, per indurlo a sollevare gli anteriori.

La progressione dell’addestramento illustrata da Caracciolo, dalle prime lezioni a pie’ fermo nella stalla, sino a quelle in sella chiarisce, a mio avviso, in modo inequivocabile che l’esercizio denominato “ciambetta” equivaleva a quello che oggi chiamiamo “passo spagnolo”. Veniva eseguito come aria di presentazione nelle volte, dopo aver fatto percorrere al cavallo un galoppo rettilineo (il cosiddetto “repolone”).

Quanto dunque alla “classicità” di questo movimento, possiamo concludere che non ci siano dubbi sul fatto che venisse praticato già secoli addietro e che fosse considerato un esercizio con una finalità eminentemente estetica. Insomma appartiene a pieno diritto a quel nucleo di equitazione artistica che si sviluppa a partire dal XVI secolo e si raffina nei secoli successivi sino a trovare la sua sistematizzazione canonica nell’École de cavalerie di François Robichon de la Guérinière  (1733). Forse proprio il fatto che il grande maestro francese lo abbia escluso dalle arie di scuola elencate nel suo trattato ha contribuito a farne dimenticare l’originaria diffusione nell’equitazione rinascimentale. Vista la profonda influenza della terminologia tecnica italiana rinascimentale sul vocabolario equestre tuttora in uso, non è infine escluso che il termine francese “jambette”, con il quale si designa oggi l’elevazione e l’estensione dell’arto anteriore del cavallo nella prima fase dell’esecuzione del passo spagnolo, possa derivare dall’italiano “ciambetta”.

Rodrigo Matos mentre insegna il passo spagnolo a un’allieva
Morgado Lusitano – Alverça do Ribatejo – Portugal

È chiaro che questa semplice puntualizzazione storica non pretende di esaurire la disputa tra fautori e detrattori di questo particolare movimento. Raggiungerà però il suo scopo se riuscirà a dimostrare come spesso si possa strumentalizzare la storia allo scopo di sostenere le proprie personali preferenze. Stabilire se un esercizio sia o meno classico è piuttosto arbitrario e, in fondo, non molto rilevante. Lo è molto di più capire se un dato gesto viene eseguito senza violenza o danni per il cavallo e se la sua resa dal punto di vista estetico contribuisca a far brillare la performance di un determinato binomio. Personalmente, quando è realizzato correttamente e nel contesto appropriato, il passo spagnolo mi sembra una dimostrazione d’eleganza e di perfetta intesa tra cavallo e cavaliere. E questo mi pare che basti e avanzi.

Bibliografia:

BASCETTA, Carlo, Sport e giuochi: trattati e scritti dal XV al XVIII secolo, Volume 2, Milano, Il Polifilo, 1978.

CARACCIOLO, Pasquale, Gloria del cavallo, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1566.

CORTE, Claudio, Il Cavallarizzo, Venezia, Giordano Zilletti, 1562

DECARPENTRY, Albert, Equitation académique, Paris, Editions Henri Neveu, 1949 (n.e. Paris, Lavauzelle, 1991)

GRISONE, Federico, Gli ordini del cavalcare, Napoli, stampato da Giovan Paolo Suganappo, 1550.

TOBEY, Elizabeth, The Legacy of Federico Grisone, in AA. VV., The Horse as Cultural Icon: The Real and the Symbolic Horse in the Early Modern World, Leiden, Koninklijke Brill, 2011, pp. 143-171.

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