Ricordi di un gentleman: Adriano Capuzzo

di Giovanni Battista Tomassini

Nevischio da Rota 2
1978. Adriano Capuzzo in sella a Nevischio da Rota nel Criterium dei cavalli italiani di 5 anni, in cui il binomio si classificò al secondo posto

Nel terzo anniversario della morte di Adriano Capuzzo, il libro contenente i suoi scritti e le testimonianze dei suoi allievi, curato da Patrizia Carrano, può essere scaricato gratuitamente dal sito internet del Comitato Regionale FISE del Lazio. Un’occasione per conoscere uno dei grandi uomini di cavalli del nostro passato più recente.

Immaginate d’esservi svegliati presto. È una mattina di maggio. Fa ancora fresco, ma i primi raggi di sole cominciano a scaldare l’aria e dalla campagna si levano i profumi che annunciano l’estate. Avete messo il cavallo al passo e, dopo appena dieci minuti di cammino, siete arrivati su un grande prato ondulato, coperto di fiori. Vi inoltrate nell’erba alta, ipnotizzati dal canto di milioni di grilli. Non c’è altro suono che quella melodia, il respiro ritmato del cavallo e il sussurro della brezza. Vi fermate su un poggio ad ammirare la vallata, punteggiata dalle chiome isolate di querce monumentali e dai tronchi di grandi ostacoli da cross-country. Sullo sfondo, il verde dei castagni copre morbidamente la montagna che fa da fondale. Il cielo è limpido e vi sentite felici.

Se debbo immaginare il Paradiso è così che lo sogno. E questo paradiso esiste e io ci sono stato. Per anni ci sono entrato di straforo quasi tutte le mattine. È il Centro Equestre Federale dei Pratoni del Vivaro. Anzi era, perché la dabbenaggine e la disonestà con cui in Italia viene gestito il patrimonio pubblico hanno condannato questo luogo meraviglioso al degrado e all’abbandono. Da molti mesi, questo autentico tempio del­l’equi­tazione italiana, costruito per le Olimpiadi di Roma del 1960, è chiuso per mancanza di fondi. Le scuderie depredate di ogni suppellettile dai ladri.

Il Centro Equestre federale dei Pratoni del Vivaro
Il Centro Equestre federale dei Pratoni del Vivaro

Ma non è per denunciare l’ennesimo scandalo italiano che ne parlo. Qualche tempo fa, raccontavo alla scrittrice Patrizia Carrano di questa mia fantasia su questo luogo magico e di come per me rappresentasse una sorta di eden per gli amanti dei cavalli. Patrizia, che ha scritto i più bei racconti e romanzi italiani dedicati all’equitazione, mi ha fissato per un attimo sorpresa e con un sorriso m’ha detto: “Adriano Capuzzo mi diceva sempre che immaginava un Paradiso molto simile ai Pratoni del Vivaro”.

Potrà forse sembrarvi che l’abbia presa troppo alla lontana, ma tutte le volte che mi capita di pensare a quello che è stato uno dei grandi uomini di cavalli del nostro passato più recente, non posso fare a meno di compiacermi di questa segreta e inconsapevole affinità. Tanto più che io non ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo in vita, ma ho potuto apprezzarne la singolare personalità solo grazie ai racconti di alcuni dei suoi allievi più illustri e delle persone che gli sono state vicino, oltre che attraverso i suoi scritti.

1956. Ostacolo n. 6 del cross olimpico di Stoccolma. Il cavallo è Tuft of Heater
1956. Ostacolo n. 6 del cross olimpico di Stoccolma.
Il cavallo è Tuft of Heater

Nato a Roma, nel 1927, Capuzzo cominciò a montare a cavallo all’età di sette anni. Suo primo istruttore fu Costante D’Inzeo, padre di Piero e Raimondo. Ben presto cominciarono le prime gare. Dopo la guerra, nel 1953, la Federazione Italiana Sport Equestri lo invitò a montare presso il Centro Preolimpionico Ippico Militare di  Montelibretti. L’istruttore qui era Fabio Mangilli. Tre anni dopo Capuzzo partecipò alle Olimpiadi a Stoccolma nella squadra di completo, insieme a Giancarlo Gutierrez e a Giuseppe Molinari. Quell’anno in realtà i Giochi si svolgevano a Melbourne, ma le prove equestri si tennero in Svezia, per evitare la quarantena obbligatoria dei cavalli. Capuzzo si piazzò nono a livello individuale (nonostante durante il cross si dovette fermare per serrare il sottopancia della sella che s’era allentato) e quinto a squadre. Di nuovo selezionato per le Olimpiadi di Roma del 1960, all’ultimo momento non gli venne permesso di partecipare alla gara di salto ostacoli, perché l’allora presidente della FISE, generale Formigli, volle tenere il suo cavallo come riserva per uno dei fratelli D’Inzeo, che erano partiti prima di lui e che alla fine si classificarono al primo e al secondo posto. Per oltre quindici anni Capuzzo fece parte della prima squadra della FISE, partecipando a innumerevoli concorsi internazionali, sia di Salto Ostacoli sia di Completo. Nel 1974 montò per l’ultima volta nel concorso ippico internazionale di Piazza di Siena. Era in sella a un cavallo di nome Beau Regard. L’Italia vinse la coppa delle Nazioni dopo il barrage con i francesi.

1962. C.H.I.O. di Losanna  Con Rubicon.
1962. C.H.I.O. Lausanne. With Rubicon

A partire almeno dal 1960, all’attività agonistica affiancò l’insegnamento del­l’equi­ta­zio­ne ai giovani. Per nove anni fu direttore tecnico e istruttore del Pony Club Roma e per quattro della Società Ippica Romana, dove fu anche vicepresidente. Svolse numerosi incarichi presso la Federazione Italiana Sport Equestri, prima come consigliere, poi come Tecnico responsabile nazionale del Settore Completo e referente per lo stesso settore. Infine, dal 2001 al 2008 fu, per due mandati consecutivi, Presidente del Comitato Regionale del Lazio.


Un curioso filmato Luce sul Centro Preolimpionico Ippico Militare, del 1951

Non è però dei suoi, pur notevolissimi, risultati agonistici né della sua attività in ambito federale che voglio parlare, ma di due tratti della sua personalità che mi sembrano particolarmente significativi. Il primo è che per tutta la vita e pur gareggiando ai massimi livelli, Adriano Capuzzo rimase un “dilettante” dell’equitazione, cioè una persona che montava a cavallo non per lucro, ma per piacere. Infatti, Capuzzo continuò a lavorare nel settore alberghiero sino alla pensione. Sicuramente la sua è stata un’epoca di agonismo meno esasperato rispetto a oggi e questo gli ha permesso, o forse, impostodi mantenere un’attività alternativa all’equitazione. Credo però che la sua scelta fosse legata anche e soprattutto al desiderio di mantenere il gusto di montare senza l’urgenza di dover cogliere a tutti i costi dei risultati. Un modo, insomma, per garantire la propria libertà. Un tratto aristocratico che è ben illuminato dalle parole di uno dei suoi allievi, Stefano Brecciaroli: «Per Capuzzo lo sport era una scuola di vita, ma anche un grandissimo, serissimo, gioco, da affrontare con lealtà e sorridente passione. Per questo, quando stavi per partire per il Cross, poteva permettersi di dire “mi raccomando, divertiti!”». Questo ovviamente non significava per lui abdicare al proprio impegno agonistico. Al contrario – spiega Brecciaroli – per lui «non esistevano scorciatoie. I risultati arrivavano solo grazie a un corretto metodo di lavoro che prevedeva tenacia, disciplina, rispetto per il cavallo, comprensione dei suoi limiti». Ma essere cavalieri per lui significava innanzitutto – sono parole sue – imparare a «comprendere cosa, come e quando chiedere a un cavallo, considerando il suo carattere, le sue attitudini, le sue potenzialità. Intuendo la soglia della sua disponibilità e avvicinandolesi il più possibile, senza mai superarla». Aver mantenuto il proprio lavoro indipendente dall’attività equestre lo ha sicuramente aiutato a osservare questa lezione di rispetto dell’animale e a evitare i compromessi ai quali, a volte, il professionista deve piegarsi per evidenti ragioni di necessità.

Riding Oracle, 1st place in the National Breeding Award of 1967, in Rome, Villa Borghese.
In sella a Oracolo, 1° classificato al Premio Nazionale d’Allevamento del 1967,
a Roma, Villa Borghese

L’altro aspetto che mi piace sottolineare è il suo impegno a divulgare l’equita­zione fra i giovani. Per formare cavalieri capaci di cogliere buoni risultati sui campi di gara, ma soprattutto per insegnare loro a rispettare e ad amare questi animali magnifici. Perché «i cavalli – scriveva – sono esseri generosi, disponibili, silenti e gli uomini hanno il dovere di non ingannarli e di non abusare delle loro qualità». Per questo si rammaricava, in una delle sue ultime lettere a Piero D’Inzeo, della «terribile mancanza di una cultura equestre elementare» che caratterizzava e che purtroppo tuttora caratterizza il panorama equestre italiano e sentiva la responsabilità di rinnovare i propri sforzi «per rinverdire certi valori e certe doverose conoscenze».

1959. European Championships at the Parc des Princes, riding Ballynool.
1959. Campionati europei al Parc des Princes, in sella a Ballynool.

Numerosissimi i suoi allievi e troppi gli aneddoti sul suo magistero per poterli riportare tutti in questa sede. Mi limiterò a ricordare il già citato Brecciaroli, tre volte olimpionico ad Atene, Pechino e Londra; Francesco Girardi, che ha preso parte ai giochi di Seul e Barcellona; Marco Cappai, che ha partecipato alle Olimpiadi di Atlanta. Il suo carattere rigoroso e i suoi modi raffinati erano celebri, come la sua voce profonda, che gli valse per tanti anni il ruolo di speaker ufficiale del più prestigioso Concorso Ippico italiano, quello di Piazza di Siena. È stato un maestro che ha lasciato un’impronta significativa in tutti suoi allievi, che lo chiamavano rispettosamente “il dottore”. Molti di loro hanno apprezzato ancora di più la ricchezza del suo insegnamento quando sono a loro volta diventati istruttori. «Mi accorgo di trasmettere ai miei allievi moltissime delle cose che lui mi ha insegnato», racconta Francesco Girardi. «Non soltanto dal punto di vista tecnico, ma anche da quello umano: la necessità dell’impegno, del rispetto, l’attenzione in scuderia, la capacità di fare squadra». E anche quando non seguiva personalmente i suoi pupilli in gara, non mancava mai di far sentire loro il suo sostegno. «Alla conclusione del Concorso – prosegue Girardi – arrivava sempre, in qualsiasi posto fossimo, un suo bellissimo telegramma, sempre diverso e sempre toccante».

1981. Piazza di Siena, Starter commissioner
1981. Piazza di Siena. Commissario alle partenze

Adriano Capuzzo è morto nel dicembre del 2011. Due anni dopo, a distanza di pochi mesi uno dall’altro, se ne sono andati anche Raimondo e Piero d’Inzeo, protagonisti indiscussi di una stagione indimenticabile della nostra equitazione, della quale Capuzzo è stato una delle figure più eminenti. Ora il libro, curato da Patrizia Carrano, che raccoglie i suoi scritti e le testimonianze dei suoi allievi, dopo essere andato esaurito in due edizioni a stampa, può essere scaricato gratuitamente dal sito del Comitato Regionale della FISE Lazio, seguendo questo link:

http://www.fise-lazio.it/

Si tratta di un’opera molto interessante e di piacevolissima lettura. Per conoscere una persona che – come ha scritto di lui Marco Cappai – era «un uomo a cui vorrebbero assomigliare tutte le persone di cavalli».

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