Una felice scoperta: il trattato inedito del Signore di Lugny
di Giovanni Battista Tomassini
In un libro, appassionante e interessantissimo, appena pubblicato in Francia, Frédéric Magnin presenta un trattato equestre sinora sconosciuto di un autore francese del tardo Rinascimento. Si tratta di un’opera fondamentale, che dimostra la circolazione di testi d’argomento equestre in forma solo manoscritta ed è il secondo trattato equestre oggi noto scritto da un autore di lingua francese
Tutte le volte che ho pubblicato un libro ho giurato che sarebbe stato l’ultimo. Non per la fatica della ricerca, o dell’invenzione. Quelle mi hanno sempre ripagato con la gioia della scoperta (sebbene una mia amica scrittrice di grande talento, Patrizia Carrano, definisca efficacemente quello dello scrittore come un mestiere duro, da spaccapietre). A scoraggiarmi sono state piuttosto le estenuanti difficoltà del rapporto con gli editori, le logiche labirintiche della distribuzione editoriale e il confronto snervante con le leggi del mercato. Nonostante questo, sono però più volte ricaduto in questo vizio di scrivere e di voler pubblicare. E, in fondo, non me ne sono mai pentito. Soprattutto perché la pubblicazione è stata sempre l’occasione di comunicare con persone, con le quali scoprivo, attraverso percorsi imprevedibili, di avere una confortante affinità: un comune sentire. Capivo così che quella passione che mi aveva spinto a rinnegare il proposito di non dare più nulla alle stampe e mi aveva assorbito per mesi, a volte anni, di lavoro, non era una mania solitaria. C’era, per fortuna, qualcun altro che a quegli stessi argomenti si interessava e apprezzava il mio sforzo di conoscerli e dare loro voce. Insomma, mi rivelava che non ero solo.
È stato così anche quando, pochi mesi dopo la pubblicazione del mio libro dedicato alla storia equestre, ricevetti un messaggio da un lettore francese, che mi esprimeva il suo apprezzamento per il mio lavoro. Rimasi sorpreso che a interessarsi a un saggio sulla trattatistica equestre rinascimentale italiana fosse un ricercatore del CNRS, i cui studi vertevano principalmente sulla storia dell’ecosistema mediterraneo. Stupore immotivato, considerando che in fondo anche il mio libro era stato scritto da un giornalista parlamentare… Per quanto stringato, però quel messaggio conteneva una valutazione sul metodo del mio lavoro, dimostrando quindi una competenza specifica di chi lo esprimeva. Bastò approfondire la mia ricerca sul web per capire che, in effetti, quel lettore era tuttaltro che un neofita della cultura equestre, ma aveva già al suo attivo due libri che testimoniavano un gusto raffinato e una speciale curiosità. Il primo (MAGNIN, 2005) era dedicato a Mottin de la Balme, ufficiale di cavalleria, vissuto tra la Francia e gli Stati Uniti dove, sul finire del XVIII secolo, partecipò alla rivoluzione americana e che fu autore di un Saggio sull’equitazione, o principi ragionati sull’arte di montare e addestrare i cavalli (Essai sur l’équitation ou principes raisonnés sur l’art de monter et de dresser les chevaux, 1773). L’altro, invece, era dedicato al manuale d’equitazione di Henry L. de Bussigny, cavaliere francese, trapiantato negli Stati Uniti, dove esportò, agli inizi del Novecento, la dottrina baucherista (BUSSIGNY, 2013).
A quel primo messaggio è seguita una corrispondenza durata ormai quasi cinque anni, nel corso dei quali, pur senza mai incontrarlo di persona, ho maturato una profonda stima e simpatia per Frédéric Magnin. E una grande curiosità per lo studio al quale si è dedicato negli ultimi anni e del quale ha avuto la bontà di mettermi a parte. Ora, finalmente, il suo libro è stato pubblicato ed è di quello, dopo questa (forse troppo) lunga premessa personale, che vi voglio parlare.
Magnin ha avuto il talento e la fortuna di incappare in una scoperta di quelle che fanno la felicità di ogni studioso. Ha infatti trovato e ora ci rivela, in un libro accurato e illuminante (MAGNIN, 2019), un trattato d’equitazione francese sinora sconosciuto, pervenutoci solo in forma manoscritta. L’opera che Magnin ha scoperto è intitolata: Escolle de L. de Chardon escuyer sieur de Lugny gentilhomme tourangeau en lequelle est monstré l’ordre et methode ques doibt tenir le cavlier envers ses escoliers (Scuola di Louis de Chardon, cavallerizzo, signore di Lugny, gentiluomo della Turenna, nel quale si mostra l’ordine e il metodo che il cavaliere deve osservare nei confronti dei suoi allievi). Si tratta di una scoperta importantissima per due motivi principali. Il primo, di carattere generale, quest’opera infatti conferma che accanto alla tradizione di opere pubblicate a stampa, inaugurata dalla pubblicazione nel 1550 dagli Ordini di cavalcare di Federico Grisone, esistono una serie di trattati equestri trasmessi solo in forma manoscritta, ancora tutti da studiare e da scoprire. Il secondo è invece più specificamente inerente all’ambito della cultura equestre francese: quello scoperto da Magnin è infatti, in ordine cronologico, il secondo trattato equestre a oggi noto, scritto da un autore di lingua francese. Databile all’anno 1597, si colloca tra la prima (1593/94) e la seconda (1610) stesura del celebre trattato di Salomon de La Broue, Des précepts du cavalerice fraçois.
Per lungo tempo lo studio della trattatistica equestre è rimasto circoscritto alle opere che, grazie alla pubblicazione a stampa hanno avuto più larga diffusione e notorietà. Per diversi secoli si è addirittura ritenuto Grisone, inventore del genere del trattato equestre, solo perché la sua opera dedicata all’addestramento del cavallo per l’uso della guerra è stata la prima a essere stampata e divulgata su vasta scala. La scoperta nel 1820 del manoscritto del Livro da ensinança de bem cavalgar toda sella, di Dom Duarte (1391-1438), re del Portogallo, dedicato “all’arte di cavalcare con qualsiasi tipo di sella”, ha però dimostrato l’esistenza di opere dedicate specificamente all’equitazione più di un secolo prima della pubblicazione del trattato di Grisone. Abbiamo d’altronde visto in un precedente articolo (cfr. Le razze del Regno. Un manoscritto inedito di Federico Grisone) che allo stesso Grisone deve essere attribuito un testo pervenutoci in forma manoscritta, conservato nel fondo Osuna della Biblioteca Nazionale di Spagna di Madrid, dedicato agli allevamenti di cavalli presenti nel Regno di Napoli nel XVI secolo. Siamo inoltre a conoscenza che nello stesso Fondo Osuna sono presenti manoscritti che contengono anticipazioni de La Gloria del Cavallo, di Pasquale Caracciolo e del Cavallo Frenato di Pirro Antonio Ferraro, opere che, per stessa ammissione degli autori, circolarono in forma manoscritta prima di essere stampate, rispettivamente nel 1566 e nel 1602 (manoscritti ai quali ci proponiamo di dedicare un futuro studio).
Ma chi era l’autore del trattato scoperto da Magnin? Louis de Chardon, Signore di Lugny, nacque a Ferrara, nel 1557, da una famiglia di piccola nobiltà della Turenna. I genitori erano al servizio di Renata di Francia (1510-1575), figlia del re Luigi XII, divenuta duchessa di Ferrara, dopo aver sposato, nel 1528, il duca Ercole II d’Este. Il padre di Louis, René Chardon, fu dapprima usciere di camera della duchessa, quindi cavallerizzo e, dopo il ritorno in Francia di Renata (seguito alla morte di Ercole II) nel 1570, divenne suo primo maggiordomo e consigliere. Anche la madre di Lugny era al servizio della duchessa, come damigella di camera. Pur essendo nato in Italia, la formazione equestre di Lugny avvenne in Francia, visto che i genitori vi tornarono quando lui aveva solo tre anni. Tra il 1590 e i 1595 fu probabilmente al servizio, in qualità di cavallerizzo, di Jean VI d’Aumont (1522-1595), maresciallo di Francia. Quindi, tra il 1596 e il 1599 fu al servizio, sempre in qualità di cavallerizzo, di Philippe Duplessis-Mornay, governatore di Saumur. Fu proprio in questo periodo che redasse il suo trattato.
In quest’opera Lugny si propone di illustrare quali siano i doveri del cavaliere nei confronti dei suoi allievi e l’ordine delle sue lezioni. Tema che, a suo giudizio, non è stato trattato dagli scrittori di opere di argomento equestre (italiane e non solo) che lo hanno preceduto. Magnin spiega che, dal punto di vista tecnico, nel libro non si trovano aspetti particolarmente innovativi rispetto alle opere dei suoi predecessori, o dei suoi contemporanei. Ciononostante, rappresenta “un trattato che riflette senza dubbio meglio di quello di Salomon de La Broue l’equitazione che si praticava un po’ dappertutto nei maneggi al volgere del XVI secolo: un’equitazione le cui massime erano l’uso in primo luogo della dolcezza e la ricerca della leggerezza” (p. 17). Quest’ultima trovava la sua più alta espressione nelle cosiddette “arie rilevate”, come la cabriole, la ballotade e la courbette. Per Lugny, d’altronde la leggerezza era la condizione necessaria per godere a pieno il piacere di montare un cavallo, reso facile e gradevole da un sapiente addestramento. Anche se, nota l’autore, “nulla di buono si ottiene senza pena”. Il piacere era dunque per Lugny il premio del lavoro e della pazienza.
Ubbidendo ai canoni dell’epoca, Lugny considera “la grazia” la suprema virtù di cavaliere. Un’attitudine che si manifesta a partire dall’espressione del volto e nell’eleganza e leggerezza dell’assetto. Da rifuggire invece “l’affettazione”, che può risultare da un eccesso di applicazione. Il richiamo è al concetto di sprezzatura teorizzato da Castiglione, che parla di una disinvoltura capace di far sembrare facile ogni impresa. La grazia è la qualità essenziale della nobiltà e combina qualità fisiche e intellettuali. Si oppone alla “lourderye”, alla pesantezza. Per alcuni è un dono naturale, ma può essere affinata e perfezionata mediante un lavoro senza fine, “perché i vizi naturali sono così radicati che bisogna combattere a lungo per sradicarli”. Questo lavoro presuppone capacità di giudizio, conoscenza, pazienza e moderazione, visto che il cavaliere “non può mai presupporre di aver raggiunto il vero limite di questa scienza, poiché essa è infinita” (MAGNIN, 2019, p. 106).
Per il lettore italiano il testo di Lugny ha un ulteriore motivo di interesse: è infatti scritto un’epoca in cui l’influenza della cultura equestre italiana è ancora molto forte in Francia. Proprio per questo Magnin ha scelto di mettere in copertina una tavola del Cavallo frenato di Pirro Antonio Ferraro, che mostra un maestro d’equitazione con il suo allievo. L’influenza italiana in Francia seguiva tre direttrici principali: quella della circolazione e della traduzione dei trattati italiani d’equitazione e d’ippiatria (Lugny cita Grisone, Fiaschi, Corte e Pirro Antonio Ferraro); quella della formazione dei cavallerizzi francesi che si recavano in Italia per apprendere l’arte equestre (come La Broue, Pluvinel, de La Noue); quella dei cavallerizzi italiani che emigravano in Francia, così come in altri paesi europei, per esercitare il loro mestiere di maestri d’equitazione e di addestratori di cavalli. “La scuola di Lugny – scrive Magnin – si colloca al cuore del processo di assimilazione e appropriazione dell’arte equestre italiana e della sua pedagogia, ma deve ancora fare i conti con la forte concorrenza dei cavallerizzi immigrati dall’Italia” (MAGNIN, 2019, p. 140).
Mi fermo qui, rimandandovi al piacere della lettura del libro, che ha il pregio essenziale di conciliare un assoluto rigore scientifico e un vastissimo orizzonte di riferimenti alla cultura equestre, con una grande chiarezza e capacità divulgativa. Un’opera insomma che amplia significativamente la nostra conoscenza di un periodo cruciale della storia dell’equitazione e del costume europei.
A Frédéric Magnin sono infine personalmente grato perché la bellezza e l’originalità del suo libro mi hanno strappato ai malumori della mia professione e m’hanno ridato la voglia di tornare a scrivere di questi argomenti. Sono convinto che come lui fece con me qualche anno fa molti, dopo aver letto il suo studio appassionato e coltissimo, gli dimostreranno che non è solo nella sua ricerca, ma in tanti condividiamo e ammiriamo la sua passione e la sua curiosità.
Al momento il libro di Frédéric Magnin è stato pubblicato solo in francese. Chi fosse interessato a ordinarne una copia, può farlo inviando un’e-mail a questo indirizzo: ahce@orange.fr.
Potete anche visitare la pagina Facebook del libro, seguendo questo link: https://www.facebook.com/sieurdelugny/
Qui di seguito il video di presentazione che ha accompagnato la campagna di crowdfunding che ha consentito la pubblicazione del libro:
BIBLIOGRAFIA
BUSSIGNY, Henry L. de French Equitation: Un bauchériste en Amérique (1922), introduction et traduction par F. Magnin, Arles, Actes Sud, 2013.
MAGNIN, Frédéric, Mottin de La Balme, Cavalier des Deux Mondes et de la Liberté, Paris, Editions L’Harmattan, 2005.
MAGNIN, Frédéric, Une ecole d’équitation à la fin de la Renaissance. Le Traité du Sieur de Lugny (1597), A.H.C.E., 2019.