Anglomania (Parte 2): Federico Mazzucchelli testimone e critico della “moda inglese”

James Seymour, Fantino al galoppo, datazione incerta © Tate Modern Gallery - Londra
James Seymour, Fantino al galoppo, datazione incerta
© Tate Modern Gallery – Londra

di Giovanni Battista Tomassini

Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto come, a partire dal XVIII secolo, in Europa si diffuse un crescente interesse per le istituzioni e la cultura inglesi e come questa tendenza coinvolse anche il campo equestre. L’equitazione “all’inglese” divenne di moda e crebbe l’interesse per l’ippica e l’equitazione di campagna. Tanto che nell’Ottocento l’abbigliamento, i finimenti e i cavalli inglesi divennero di rigore tra gli appassionati del vecchio continente.

Le differenti caratteristiche morfologiche dei cavalli inglesi e soprattutto il loro impiego nelle corse e nelle cacce in campagna avevano stimolato in Inghilterra anche l’evoluzione di un modo differente di cavalcare rispetto all’equitazione accademica, allora ancora prevalente nel resto d’Europa. L’innovazione più vistosa fu l’introduzione del trotto sollevato, detto appunto all’inglese, che si accompagnava a un assetto con staffatura più corta e a una posizione del busto leggermente inclinata in avanti. Questa tecnica si avvaleva anche di strumenti necessariamente diversi, a cominciare dalla sella rasa, con pomo e paletta poco rilevati, e dal filetto che, in molti casi veniva associato a un morso, con guardie più corte di quelle tradizionali, comandato da una seconda redine.

Filippo Palizzi, Cavaliere al trotto, datazione incerta La moda inglese portò alla diffusione in tut'Europa del trotto sollevato Galleria dell'Accademia di Belle Arti di Napoli
Il trotto “all’inglese” si diffuse in Europa
a partire dalla seconda metà del Settecento
Filippo Palizzi, Cavaliere al trotto, XIX sec.
Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Napoli

Il diffondersi anche nell’Europa continentale di questo nuovo modo di cavalcare “all’inglese” suscitò un vivace dibattito che, per molti versi, somiglia alle diatribe che accendono anche oggi le vere, o presunte, “innovazioni” in campo equestre, come per esempio quella che oppone  i fautori e i detrattori della cosiddetta “natural horsemanship”. Anche nel caso dell’equitazione “all’inglese”,  tra diciottesimo e diciannovesimo secolo, i praticanti e gli appassionati si divisero tra entusiasti e assolutamente contrari. Troviamo un’interessante testimonianza di questa controversia in un capitolo del libro di Federico Mazzucchelli Scuola equestre (1805), intitolato Avvertimenti sul modo di cavalcare all’inglese e sulle corse praticate in Inghilterra.

Mazzucchelli comincia il suo ragionamento, constatando come questo  modo di cavalcare “oggi molto alla moda […] molti motivi produce di dispareri e questioni. Non vi è persona, per ignara che sia dell’equitazione, che non abbia il suo modo particolare di riguardarla” (MAZZUCCHELLI, 1805, Tomo II, p. 285). Il dibattito, insomma, non coinvolgeva solo gli esperti, ma la nuova moda era tanto diffusa e popolare che persino chi fosse “ignaro dell’equitazione” aveva comunque una sua opinione in proposito. Con grande buonsenso, Mazzucchelli distingue tra un modo corretto di “andare all’inglese” e uno sbagliato che, purtroppo come spesso accade, è quello prevalente perché più facile.

In Inghilterra pure succede lo stesso; e non crediamo già, che molti siano quelli che vi vanno bene; anzi questi si rimarcano a dito fra tutti gli altri, e si esaltano meritatamente. Infinito è colà il numero dei cavalcatori, ed una maniera vi si è introdotta facile, e confacente per quelli, che non vi hanno abilità, o che non vogliono prestarvi studio alcuno. Tal maniera è fatalmente per l’Europa creduta degna di essere imitata, come la migliore di quella scuola, mentre ella non è, che la maniera propria della turba ignara di questa parte ginnastica interessante. (MAZZUCCHELLI, 1805, Tomo II, p. 285)

James Seymour, Un cavallo da corsa baio e il suo fantino, ca 1730 Yale Center for British Art
James Seymour, Un cavallo da corsa baio e il suo fantino, ca 1730
Yale Center for British Art

È facile vedere come, se alla “maniera inglese” si sostituisce uno qualsiasi dei metodi oggi di moda in campo equestre, le parole di Mazzucchelli siano ancora attuali. Quale che sia la tecnica, i più tendono fatalmente ad applicarla nel modo che richiede meno impegno e competenza. E in equitazione questo è sempre il modo sbagliato.

Mazzucchelli spiega che la tecnica all’inglese è particolarmente adatta all’equitazione di campagna e alle corse, ma è resa soprattutto necessaria dalle caratteristiche dei cavalli inglesi. L’autore non sembra apprezzarli particolarmente e dimostra un gusto ancora legato alle razze tradizionalmente impiegate nell’equitazione accademica: andalusi, barberi e arabi. I cavalli inglesi gli sembrano invece poco adatti alle andature riunite tipiche degli esercizi di maneggio, per cui  ritiene

che l’educazione di questo quadrupede, destinato alle corse, ed alla caccia, sarà diretta ad istruirlo sul trotto disteso in aperto, e sostenuto con lunghe riprese. Sarebbero inopportune le discipline, che tendono all’unione; epperciò rendesi impraticabile la lezione, che dicesi piegare un cavallo, per cui questo è abilitato all’intelligenza di gamba, e nei movimenti a due piste come il costeggio, ed il raddoppio. Quindi tutto riducesi ad un passo negligente, ad un trotto basso, ma slanciato, e violento; ad un galoppo ordinario ma atterrato; galoppo, dico, diritto, o sinistro secondo l’accidente, e a una scappata veloce. (MAZZUCCHELLI, 1805, Tomo II, p. 286)

M. L. Heirauld, François Baucher su Partisan, galoppo a marcia indietro, da F. Baucher, Souvenirs équestres, Paris, Manège Baucher et Pellier, 1840.
Baucher eseguì le più sofisticate
arie di scuola con cavalli inglesi
M. L. Heirauld, François Baucher su Partisan, galoppo a marcia indietro
da F. Baucher, Souvenirs équestres, Paris, Manège Baucher et Pellier, 1840

Una valutazione decisamente troppo severa e manifestamente viziata da un pregiudizio, visto che nell’Ottocento proprio i cavalli inglesi saranno impiegati,  con risultati stupefacenti, anche nell’equitazione da maneggio, dimostrandosi capaci (con cavalieri del calibro di François Baucher, o James Fillis) di esercizi sofisticatissimi. Mazzucchelli li ritiene invece cavalli duri, pesanti sulla mano, sui quali è impossibile mantenere l’assetto elegante dei cavalieri accademici e che possono essere montati solo adattandosi a sollevarsi durante il trotto, inclinandosi in avanti. Per questo ritiene ridicola la pretesa di coniugare le due maniere, quella inglese e quella accademica, che a suo giudizio sono del tutto incompatibili.

Ciò non toglie che, con i cavalli adatti, lo stesso Mazzucchelli ammette che si possa e si debba adottare la nuova tecnica e traccia quindi il ritratto ideale del “bravo cavaliere inglese”.

Determinato egli sull’andar, porta a perfezione il cavallo, mediante il bridone; e come piuma leggiero, ed in perfetto equilibrio, più sulle staffe che sulla sella, piegato alquanto sul davanti, e colla spalla sinistra più avanzata della dritta, accompagna con grazia, ma in giusto tempo sollevandosi, il movimento slanciato del trotto, schivandone il colpo, e spingendo sullo slancio il cavallo. (MAZZUCCHELLI, 1805, Tomo II, p. 287)

George Stubbs, Otho montato da John Larkin, circa 1768 © Tate Modern Gallery - Londra
George Stubbs, Otho montato da John Larkin, circa 1768
© Tate Modern Gallery – Londra

Quanto al cavallo, anche questo ha il suo tipo ideale:

Sia egli piuttosto abbondante di altezza; di forma leggiera e slanciata; coraggioso nella rapidità; resistente nella fatica; e sviluppato nell’andatura del trotto disteso, onde il movimento sulla linea orizzontale sia determinato e veloce. (MAZZUCCHELLI, 1805, Tomo II, p. 288)

I cavalli inglesi erano apprezzati per la loro altezza John Wotton, L'onorevole John Spencer accanto a un cavallo da caccia tenuto da un ragazzo, 1733-6 © Tate Modern Gallery - Londra
I cavalli inglesi erano apprezzati per la loro altezza
John Wotton, L’onorevole John Spencer accanto a un cavallo da caccia tenuto da un ragazzo, 1733-6
© Tate Modern Gallery – Londra

Afferma d’aver montato lui stesso in Inghilterra seguendo i dettami di questa maniera e di avervi provato “una aggradevole sensazione”:

I contorni di Londra, il movimento, la ricchezza, l’industria, le bellissime strade volate con tanta rapidità, producono una riunione singolare di piaceri, che difficilmente si possono in altri luoghi incontrar riuniti. Egli è questo un altro genere di equitazione, un  altro genere di diletto. Par quasi che l’uomo sia rapito e trasportato da velocissime ali, e niente quasi occupandosi del suo cavallo, soltanto egli sia ricreato dal pronto cambiare degli oggetti sì tanti, e sì vari fra loro. (MAZZUCCHELLI, 1805, Tomo II, p. 289)

Pur manifestamente condizionato dalla sua preferenza per la tradizione accademica, il giudizio di Mazzucchelli sull’equitazione all’inglese si dimostra abbastanza equilibrato e testimonia con chiarezza inequivocabile l’evoluzione delle tecniche equestri, tra Sette e Ottocento. Un’evoluzione che, come abbiamo visto, ubbidisce a fattori complessi ed evidenzia la ricca rete di relazioni e di reciproche influenze che legano l’equitazione alla nostra cultura.

Mazzucchelli resta legato alla tradizione accademica europea Basilio Lasinio, Cavallerizza, in MAZZUCCHELLI, 1805
Come dimostra questa bella tavola del suo trattato,
Mazzucchelli prediligeva lo stile accademico classico
Basilio Lasinio, Cavallerizza,
in MAZZUCCHELLI, 1805

Bibliografia

MAZZUCCHELLI, Federigo,  Scuola equestre, Milano, presso Gio Pietro Giegler, Libraio sulla Corsia de’ Servi, 1805.

1 Comment

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Il ‘700 e l’equitazione “all’inglese” spiegata da G.B.Tomassini – Parte II – Unificazione Associazioni Italiane Pura Raza Españolareply
16/01/2017 at 14:20

[…] Anglomania (Parte 2): Federico Mazzucchelli testimone e critico della “moda inglese” […]

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