Tradizioni equestri del Carnevale romano durante il Rinascimento

Il gioco dell'anello era molto praticato sin dal Rinascimento Bartolomeo Pinelli, Costumi diversi inventati ed incisi da Bartolomeo Pinelli, 1822
Il gioco dell’anello era molto praticato sin dal Rinascimento
da Costumi diversi inventati ed incisi da Bartolomeo Pinelli, 1822

di Giovanni Battista Tomassini

Testo dell’intervento tenuto in occasione dell’History talk, che martedì 28 febbraio 2017, ha concluso la 9° edizione del Carnevale Romano. Ringrazio particolarmente l’Associazione Carnevale Romano per avermi ancora una volta invitato, nella splendida Biblioteca Angelica, per raccontare le storie di questo grande rito collettivo della città di Roma. Per informazioni: http://www.carnevaleromano.com/ e https://www.facebook.com/Carnevale-Romano-454618444667202/?fref=ts

Giovedì 24 febbraio 1536, a circa un anno e mezzo dall’elezione al soglio pontificio di papa Paolo III, a Roma si tornò a celebrare il Carnevale, dopo che per molti anni nella città sfregiata dal sacco del 1527 c’era stato ben poco da festeggiare. Quel giorno, in Campidoglio si radunarono tutte le autorità municipali: il Senatore del Popolo Romano, i Conservatori, i Caporioni e i Priori, i Sindaci, i Connestabili e i rappresentanti delle corporazioni. Tutti indossavano gli abiti delle grandi occasioni e portavano le armi della milizia cittadina. In quanto manifestazioni civica, la sfilata del Carnevale era infatti anche occasione per mostrare l’orgoglio militare della città ed era sfruttata dall’aristocrazia per ostentare i segni della propria ricchezza e del proprio potere. Proprio per questo, i cavalli e gli altri attributi del decoro cavalleresco, come per esempio le armi e gli abiti più lussuosi, vi svolgevano un ruolo di primissimo piano.

Cavaliere con costume e bardatura "alla romana" da parata. Libro dei disegni di Filippo Ursoni, 1554 Royal and Albert Hall Museum - Londra
Cavaliere con costume e bardatura
“alla romana” da parata
Libro dei disegni di Filippo Ursoni, 1554
Royal and Albert Hall Museum – Londra

Il corteo si mosse verso il Campo in Agone, cioè verso Piazza Navona, secondo un rigoroso ordine di precedenza. Dopo i rappresentanti dei Rioni sfilarono i cosiddetti Giocatori, vale a dire i campioni dei Rioni stessi, che quel giorno e nei successivi si sarebbero cimentati nelle prove cavalleresche. Erano otto per ciascun Rione ed erano accompagnati ciascuno da otto staffieri. Tra loro – leggiamo in un resoconto anonimo dell’epoca, indirizzato a Girolamo Orsini d’Aragona, duca di Bracciano:

almanco dua in bellissimi cavalli vestititi all’antica, con belle celate, et di molte, et in petto e in capo, gioie, perle, cattene ed altri ornamenti bellissimi, tra li quali uno vi fu particulare, del quale per non monstrar di lasciar adreto l’altri fu ditto portare meglio di trenta miglia scuti de valore tra oro e gioie” (FORCELLA, 1885, pp. 22-23).

Già questa descrizione ci dà un’idea della magnificenza associata alla presenza dei cavalli nel corteo, che si manifestava sia nel pregio degli ornamenti (30 mila scudi solo di gioielli) sia degli animali stessi. Una parola va inoltre spesa sull’appartenenza sociale dei Giocatori, che gli Statuti del 1360-1363 caratterizzano proprio come appartenenti alla categoria dei cavallarocti, vale a dire di coloro che potevano contribuire alla milizia urbana con una cavalcatura e che quindi appartenevano alle arti maggiori e all’aristocrazia non baronale, cioè allo strato più ricco dei commerci e delle professioni.

Corsiero d'Italia con bardatura "alla leggera" Filippo Ursoni, 1554 Royal and Albert Hall Museum - Londra
Corsiero d’Italia con bardatura “alla leggera”
Libro dei disegni di Filippo Ursoni, 1554
Royal and Albert Hall Museum – Londra

La qualità dei cavalli che partecipano alla sfilata è sottolineata in modo più evidente nella successiva descrizione dei Caporioni, che erano montati

sopra a cavalli bellissimi alla legiera, a tre a tre, con i suoi paggi a tre a tre, a cavallo vestiti della loro livrea, con lance e targhe de doi Signori caporioni” (FORCELLA, 1885, p. 23).

In questo caso i cavalli erano bardati “alla leggera”, erano cioè privi di armatura e di altre protezioni tipiche dei cosiddetti “uomini d’arme”.

Cavallo armato e "uomo d'arme", entrambi protetti da armatura metallica. Pirro Antonio Ferraro, Cavallo frenato, 1602
Cavallo armato e “uomo d’arme”,
entrambi protetti da armatura metallica
Pirro Antonio Ferraro, Cavallo frenato, 1602

Questa prima parte del corteo era chiusa dal Priore dei Caporioni e dal Conservatore. Seguivano quindi tredici carri allegorici, uno per Rione, che celebravano la vittoria del console romano Paolo Emilio, vincitore nel II secolo dopo Cristo della terza guerra di Macedonia, la cui vicenda è narrata nelle Vite parallele di Plutarco e il cui nome era considerato allusivo a quello del pontefice. Il corteo era infine chiuso da altre autorità e personalità di alto rango, tutti su “bellissimi cavalli grossi bardati”. Per ultimo incedeva Giuliano Cesarini, Gonfaloniere di Roma, con abito splendido e montato su un “bellissimo cavallo”, come altrettanto bellissimi erano gli esemplari montati dal suo seguito.

Il corteo si snodò sino a Castel Sant’Angelo dove lo attendeva il Papa, al quale venne dedicato un concerto. Quindi tornò indietro sino a Piazza Navona, dove i partecipanti si disposero in bell’ordine. Si tennero quindi delle corse all’anello. Si trattava di un tipo di cimento cavalleresco in cui i cavalieri lanciati al galoppo dovevano infilare la punta della lancia, in un anello sospeso a mezz’aria con un nastro. All’epoca era molto diffuso e tuttora viene praticato in molte parti del mondo. Come per esempio durante il carnevale di Oristano, in cui cavalieri abbigliati con maschere suggestive, debbono cogliere una stella, con al centro un anello, con la punta della spada. Bartolomeo Pinelli ci ha tramandato in una sua stampa una variante praticata a Roma all’inizio dell’Ottocento. L’anello veniva infatti sospeso sotto un tino pieno d’acqua. In questo caso, se il cavaliere sbagliava a puntare la lancia e lo urtava, l’acqua si rovesciava su di lui e sul suo cavallo (si veda l’immagine all’inizio dell’articolo).

La Corsa della Stella
La Sartiglia di Oristano
Foto tratta dal sito www.paradisola.it di Domenico Corraine

Il carattere marziale e cavalleresco di questi cortei è sottolineato nei Nuptiali, testo chiave per la memoria delle feste romane, scritto da Marco Antonio Altieri, nei primi due decenni del Cinquecento. In particolare, vengono esaltate le virtù profuse dall’aristocrazia romana sul campo di Agone, “nell’exercitarse in nelli principij virili” (ALTIERI, 1873, p. 26), cioè negli esercizi cavallereschi, ed è esaltata l’apparizione di “infiniti gentilhomeni et strenui alla guerra in cavalli lor bardati” (ALTIERI, 1873, p. 114) nei cortei che dal Campidoglio portavano a Piazza Navona, al giovedì grasso.

L’indomani, cioè il venerdì 25 febbraio 1536, a Roma si tenne un vero e proprio encierro, vale a dire che i Caporioni fecero condurre in città dai loro Connestabili, tredici tori feroci, uno per ciascun Rione. Il sabato questi animali vennero mostrati sulla piazza del Campidoglio. Questa pratica non deve sorprendere. La tauromachia, infatti, era allora ampiamente diffusa non solo a Roma, ma in molte zone d’Italia. Combattimenti con i tori sono ben documentati per esempio, a Napoli, dove furono particolarmente favoriti dal viceré spagnolo don Pedro de Toledo (1484-1553), che per le corride aveva una vera passione e vi partecipava in prima persona. Caccie di tori si tenevano anche in Toscana. Particolarmente memorabili, secondo Benedetto Croce, furono quelle tenutesi a Siena e a Firenze in occasione della visita del principe Vincenzo Gonzaga, erede al trono di Mantova, nel 1584. Il fatto che i tori venissero condotti imbrancati in città dai mandriani, attraverso le strade cittadine, era assolutamente normale vista la mancanza di mezzi di trasporto analoghi a quelli moderni. Fu per secoli la regola anche per gli animali condotti alla macellazione, come ben testimonia la stampa tratta dai Costumi diversi inventati ed incisi da Bartolomeo Pinelli, del 1822.

Buoi condotti dai mandriani attraverso le vie di Roma Bartolomeo Pinelli, Costumi diversi inventati ed incisi da Bartolomeo Pinelli, 1822
Buoi condotti dai mandriani attraverso le vie di Roma
da Costumi diversi inventati ed incisi da Bartolomeo Pinelli, 1822

La domenica 27 febbraio, infine tutti si ritrovarono al Campo di Testaccio. Qui i Giocatori precedettero i Caporioni:

vestiti et armati come il giovedì innanzi, et arrivati sulla piazza, ovvero Campo di Testazzo li Giuocatori cominciorno un bellissimo Torniamento correndo per la piazza a doi a doi, poi a quattro a quattro, che mai si stavano in riposo” (FORCELLA, 1885, p. 30).

Anche in questo caso il “torniamento” consisteva in corse all’anello. Durante la giostra, i Conservatori fecero approntare sei Carrozze coperte di panno rosso, su ciascuna delle quali era tenuto in gabbia un maiale vivo. Quindi vennero esposti tre palii, vale a dire tre pezze di stoffa pregiata: uno di broccato d’oro foderato d’ermellino, uno di velluto cremisino, foderato di taffetà verde, il terzo di damasco turchino. Si svolsero quindi tre corse di cavalli: quella dei barberi, quella dei giannetti e quello delle cavalle. Nei palii gareggiavano dei cavalli scossi, cioè senza fantino. I barberi erano i cavalli più leggieri e veloci, di sangue prevalentemente orientale, i giannetti erano invece i pregiati cavalli di Spagna, piccoli, agili e focosi.

Le tauromachie si svolgevano in un'area delimitata ai piedi del Monte di Testaccio Etienne Du Pérac, La festa di Testaccio del 1545, incisione. British Museum - Londra
Le tauromachie si svolgevano in un’area delimitata ai piedi del Monte di Testaccio
Etienne Du Pérac, La festa di Testaccio del 1545, incisione.

Sul campo era stata circoscritta un’area ai piedi della discesa del Monte di Testaccio – legando tra di loro dei carri, alle spalle dei quali erano allestiti anche dei palchi e delle tribune – creando una sorta di grande arena. Dal Monte vennero quindi lanciate per la discesa le carrette con i maiali e furono liberati i tori. Allora cominciò la caccia: rito crudele a metà tra corrida de toros e venatio da Colosseo. Anche in questa fase, i cavalli giocavano un ruolo essenziale, poiché la lotta con i tori si combatteva principalmente a cavallo.

Le caccie dei tori erano tanto apprezzate che nel 1500, durante il papato di Alessandro VI (1431-1503), il figlio del papa, Cesare Borgia, nel giorno della festa di San Giovanni affrontò i tori in un’arena costruita addirittura sulla Piazza San Pietro. Lo stesso accade due anni dopo quando, in occasione delle feste per il matrimonio tra Lucrezia Borgia e Alfonso d’Este, il 31 dicembre 1502 in piazza San Pietro si tennero palii e caccie. L’abitudine di tenere corride in Vaticano proseguì anche con il pontificato di Giulio II (1443-1513). Il martedì grasso del 1510, ad esempio, si tennero delle corse di cavalli e, nel cortile del Belvedere, una caccia di tori. L’uso di tenere corride in Vaticano era però avvertito da molti contemporanei come un eccesso di mondanità nel cuore della cristianità e suscitò l’indignazione di Erasmo da Rotterdam.

I tori venivano liberati sul Monte Testaccio e irrompevano nell'arena correndo lungo la discesa Hendrick Van Cleve III, Mons Testaceus, , Festa a Testaccio, incisione di Philipp Galle, 1557-1612 (c.).
I tori venivano liberati sul Monte Testaccio e irrompevano nell’arena correndo lungo la discesa
Hendrick Van Cleve III, Mons Testaceus, incisione Philipp Galle, 1557-1612 (c.).

I ludi di Testaccio finirono con il pontificato di Paolo III, con un’ultima ecatombe nel 1545. Successivamente l’asse del Carnevale Romano, tornò nell’area di Via Lata, l’attuale Via del Corso, dove già lo aveva spostato Paolo II nel 1465. Il 1 novembre 1567 il Papa Pio V (1504-172) pubblicò la costituzione apostolica De salute, con la quale proibì la tauromachia e condannò i maltrattamenti sugli animali da parte dell’uomo, che purtroppo però non ebbe alcun effetto.

Mi fermo qui. Da questi pochi accenni si coglie comunque il ruolo centrale che aveva la dimensione cavalleresca nel contesto del Carnevale Romano. Un’impronta che il Carnevale mantenne anche nei secoli successivi, quando a caratterizzarlo, nel bene come nel male, fu la celebre corsa dei barberi, che da Piazza del Popolo arrivava a Palazzo Venezia.

A bullfight in front of the Palazzo Farnese, Hendrick Van Cleve III, engraving by Philipp Galle, 1557-1612
Caccia di tori a Piazza Farnese, a Roma
Hendrick Van Cleve III, incisione di Philipp Galle, 1557-1612

BIBLIOGRAFIA

ALTIERI, Marco Antonio, Li nuptiali, pubblicati da Enrico Narducci, Roma Tip. C. Bartoli, 1873.

CROCE, Benedetto, La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, 2a ed. riveduta, Bari, Laterza, 1922.

FORCELLA, Vincenzo, Tornei e giostre, ingressi trionfali e feste carnevalesche in Roma sotto Paolo III, Roma, Tip. Artigianelli, 1885.

GUARINO, Raimondo, Carnevale e festa civica nei Ludi di Testaccio, “Roma moderna e contemporanea”, XX, 2012, 2, pp. 475-497.

L’History talk alla Biblioteca Angelica nelle immagini di Barbara Roppo e Robbi Huner

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