Quattro millenni di civiltà equestre in mostra (parte 1)
di Giovanni Battista Tomassini
Sono molti e importanti i pezzi della Collezione Giannelli di morsi antichi esposti per la prima volta nella mostra Il Cavallo: 4.000 anni di storia, in corso sino al 19 agosto 2018, nella Pinacoteca Züst vicino Lugano
In un’epoca che ha ridotto il mercato dell’arte a un tavolo da roulette, al quale ci si accosta con la spregiudicata fame di guadagni dei lupi di Wall Street, c’è qualcosa di eroico nella paziente e agguerrita ricerca che ha consentito a Claudio Giannelli di raccogliere, nell’arco di alcuni decenni, quella che è probabilmente la più importante e completa collezione di morsi antichi del mondo. Perché, diversamente dai miliardari che nelle aste d’arte fanno arrivare le loro offerte da un telefono, spesso senza sapere precisamente cosa acquistano, Giannelli ha rastrellato i pezzi più pregiati di questo specifico settore del mercato antiquario grazie alla sua eccezionale competenza, affinata attraverso anni di studio e corroborata dalla sua esperienza di cavaliere e di giudice della Federazione Equestre Internazionale.
Chi visita la splendida mostra Il Cavallo: 4.000 anni di storia, allestita, a due passi da Lugano, nella Pinacoteca Züst e curata dallo stesso Claudio Giannelli assieme ad Alessandra Brambilla, oltre agli oggetti rari, interessanti e spesso di abbagliante bellezza, non può fare a meno di ammirare la passione e la profonda cultura testimoniate dalla raccolta. Avevo già avuto modo di scrivere della collezione Giannelli: sia quando si è tenuta la mostra di Travagliato (BS) nel 2015, sia a proposito della pubblicazione dello splendido libro Equs Frenatus. La nuova mostra di Rancate (Mendrisio) mi dà però l’occasione di parlare di alcuni pezzi davvero straordinari che vi sono esposti per la prima volta. Le novità riguardano in particolare l’ambito archeologico e sono così significative e numerose da richiedermi di dividere questo articolo in due parti.
Prima però di addentrarci nel racconto dei pezzi più notevoli in esposizione, merita di essere apprezzato il raffinato allestimento della mostra, che è articolata su due piani. Il primo è una sorta di introduzione, con una prima sala dedicata a un affascinante caleidoscopio di libri e stampe antichi di argomento equestre. La stanza che è a loro dedicata è dominata da uno splendido cavallo a dondolo in legno, del XVIII secolo, che si fa particolarmente ammirare per la minuzia della rappresentazione dei particolari anatomici e dei finimenti dell’animale. Nelle vetrine, in uno scenografico e solo apparente disordine, sono esposti le edizioni di celebri trattati d’equitazione, come per esempio, una rara edizione tascabile (da portarsi forse in maneggio), degli Ordini di cavalcare di Federico Grisone,.
Alle pareti le splendide tavole che illustravano celebri libri, dal trattato di Pluvinel, a quello del duca di Newcastle, alle stampe di Stefano De Bella e Giovanni Stradano, sino alle belle illustrazioni dedicate all’arte del maneggio dall’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. Spiccano in particolare due magnifici disegni a china di Georg Philipp Rugendas (1666 – 1742) e una bella scena di battaglia di Jacques Courtois, detto il Borgognone (1621 – 1676).
Nella sala adiacente, una ricca raccolta di quadri di soggetto equestre, testimonia l’evoluzione delle razze equine nel periodo compreso tra XVIII e XIX secolo, con il progressivo affermarsi del purosangue inglese. Tra questi quadri è soprattutto da notare, per la eccezionale vivacità del tratto e per la finezza con la quale è resa l’opalescenza del mantello di uno splendido grigio, un quadro di Claude Vernet (1758 – 1836), pittore francese che dipinse prevalentemente scene militari e di genere e si distinse proprio nella rappresentazione di cavalli.
Il secondo piano è invece interamente dedicato alla raccolta di morsi antichi. Il primo pezzo a meritare una attenzione particolare è una rarissima collana da cavallo, in oro e turchesi, databile tra il VII e il V secolo a.C. Questo genere di collane facevano parte dei preziosi ed elaborati finimenti con i quali gli Sciti, che abitavano le steppe centro asiatiche a est del Mar Nero, bardavano i cavalli che poi sacrificavano in occasione della morte di personaggi di alto rango e seppellivano con loro nelle tipiche tombe a tumulo (kurgan). Ogni cavallo, poteva indossare sino a quattro collane, che venivano fermate e sostenute da una sorta di tirante applicato alla criniera. Quella che fa parte della collezione Giannelli è decorata con una serie di volti umani a sbalzo e da pendagli.
Altro pezzo davvero unico è un frontale in metallo dorato e turchesi, completo di portapennacchio (che veniva collocato sulla nuca del cavallo), morso con guardie separate dall’imboccatura e da una serie di decorazioni per finimenti (testiera, redini, pettorale e groppiera). Si tratta, anche in questo caso, di un corredo scitico, risalente a un periodo compreso tra VII e V secolo a.C. e presumibilmente proveniente tutto dalla medesima sepoltura.
Va notato che i primi morsi scitici (dei quali la mostra propone una grande varietà di esemplari) avevano le guardie separate dall’imboccatura, alla quale venivano fissate mediante strisce di cuoio che, essendo deperibili, non si sono conservate. Gli esemplari più antichi avevano le guardie in osso. Successivamente vennero realizzate in bronzo come le imboccature. Spesso erano decorate con motivi geometrici, oppure con figure (protomi) di animali.
Alcune sono dei veri capolavori di stilizzazione, come nel caso delle guardie di un morso in bronzo, probabilmente proveniente dall’area delle steppe centro-asiatiche, o dall’antica Persia, e risalente a un’epoca compresa tra X e VII secolo a. C.. Rappresenta un cavallo stilizzato nella posizione del cosiddetto “galoppo volante”.
Di enorme fascino sono poi gli esemplari di morsi del Luristan . Senza ombra di dubbio, quella di Giannelli è la più ricca e spettacolare collezione di questi morsi in bronzo, prodotti da una misteriosa civiltà fiorita in una regione a cavallo tra l’attuale Iraq e l’Iran nord-occidentale, tra il 1000 e il 650 a. C.. Si tratta di morsi con guardie straordinariamente elaborate. Vere e proprie opere opere d’arte che venivano inumate con i defunti e che forse avevano un ignoto significato rituale. Le più semplici erano decorate con motivi geometrici, oppure con animali, reali, o fantastici. Particolarmente suggestive sono quelle raffiguranti il cosiddetto “Signore degli animai” (“Maitre des Animaux”): una figura umana, oppure parte umana e parte animale, raffigurata mentre domina degli animali disposti simmetricamente ai suoi fianchi. Tra i tanti esposti nella mostra, i due forse più notevoli sono quello in cui una figura metà uomo e metà stambecco tiene due pantere.
E quello in cui una sorta di sfinge, con tre teste femminili, sormontate da vistosi copricapi, o da corna, con grandi orecchini e quattro gambe, incombe su due figure, una maschile e una femminile, che mostra il sesso.
Restando all’età del bronzo, tra i diversi greci antichi, spicca un particolare tipo di morso miceneo, che è tra i più antichi morsi in bronzo conosciuti e si ritiene possa risalire al XIV secolo a. C.
Davvero sorprendente e interessante è inoltre un morso etrusco, del cosiddetto periodo villanoviano (IX-VII secolo a. C.). Si tratta di un filetto snodato con guardie a forma di grande cavallo, ornato sui lati (sopra, sotto e davanti) da altri cavallini stilizzati). La peculiarità di questo morso è che è privo della tipica patina verde, dovuta all’ossidazione del bronzo. Possiamo così ammirare il colore che davvero avevano i morsi antichi, all’epoca in cui venivano usati. Erano lucenti come se fossero dorati (e questo spiega perché molti autori antichi parlano di morsi d’oro, che però non sono mia stati trovati dagli archeologi). La particolare lucentezza di questo esemplare insolito è probabilmente dovuta all’abrasione della sabbia di un corso d’acqua, sul fondo del quale è rimasto per millenni.