Il morso corinzio

Anfora panatenaica
Attribuita al pittore di Eucharides (ca. 490 a.C.)
© The Metropolitan Museum – New York

di Giovanni Battista Tomassini

Diversamente da quanto abbiamo visto a riguardo di varie civiltà dell’Età del Bronzo, in Grecia l’uso di inumare i morsi nelle sepolture era piuttosto raro. Questo non ha consentito la conservazione di molti reperti. Mancano, per esempio, quasi completamente quelli relativi al periodo tra l’VIII e il VII secolo a.C. e gli storici hanno provato a ricostruire la varietà degli strumenti utilizzati in Grecia nelle epoche più remote basandosi soprattutto sulle testimonianze iconografiche riportate sui vasi. Queste però sono spesso troppo stilizzate per consentire un’analisi affidabile. Prima dell’irruzione delle popolazioni celtiche provenienti dall’Europa Centrale nel III secolo a. C., in Grecia venivano comunque utilizzati esclusivamente morsi del tipo a filetto.

Nell’Età del Bronzo e nella prima Età del Ferro, in cui l’uso dei carri prevaleva sull’equitazione, si ritiene che anche in Grecia il controllo dei cavalli soprattutto avvenisse mediante cavezzoni, oppure con morsi a cannone semplice (rigido, oppure snodato), che agivano sia attraverso l’imboccatura sia mediante la pressione esercitata dalle guardie sui lati della bocca dell’animale. Nel successivo periodo classico – all’incirca tra il V e il IV sec. a C. – in cui l’equitazione cominciò a prevalere sull’uso dei carri, si diffuse l’uso di morsi di forma diversa, con imboccature molto più severe. Comparvero infatti punte sui cannoni che, pur non modificando il principio di funzionamento dei morsi a filetto, ne rendevano l’azione sulle barre molto più incisiva.

Morso greco in bronzo
IV–III sec. a.C.
© The Metropolitan Museum – New York

È indubbio che questo tipo di imboccature potessero frequentemente ferire la bocca dei cavalli. A questo proposito lo storico e retore Dione Crisostomo (vissuto a cavallo tra I e II sec. d. C.), nei suoi Discorsi (LXIII, 5), riporta un aneddoto relativo al famoso pittore greco Apelle (IV sec. a. C.) che, spazientito di non riuscire a rappresentare realisticamente la bocca di un cavallo coperta di schiuma e di sangue, gettò una spugna contro la pittura riuscendo così finalmente a ottenere l’effetto voluto. È proprio in ragione dell’estrema severità delle imboccature in uso nella sua epoca che Senofonte, nel suo trattato sull’equitazione, sostiene che «i morsi dolci sono più indicati di quelli duri, ma se si mette al cavallo un morso duro, bisogna renderlo simile a un morso dolce con la leggerezza della mano» (Perì Hippikès, IX, 9). Senofonte sostiene inoltre che «occorre possedere almeno due morsi. Uno deve essere dolce, e avere rondelle di una certa dimensione; l’altro deve avere rondelle pesanti e spesse e le punte acuminate, affinché quando il cavallo lo prende, infastidito dalla sua durezza lo lasci e quando invece riceve al suo posto il morso dolce, si rallegri della sua dolcezza ed esegua tutti quegli esercizi che gli sono stati insegnati  con il morso duro» (Perì Hippikès, X, 6). L’autore non fornisce una descrizione dettagliata di questi morsi, dandone per scontata la conoscenza da parte dei suoi lettori. Si dilunga però sull’imboccatura, specificando che in caso il cavallo abbia tendenza ad appoggiarsi al morso sia opportuno utilizzarne uno con rondelle interne grandi che impongano all’animale di mantenere la bocca aperta. Allo stesso modo predilige i morsi snodati, rispetto a quelli rigidi, perché più difficilmente il cavallo riesce ad appoggiarvisi per resistere.

Il Mosaico di Alessandro della Casa del Fauno a Pompei
I sec. a.C.
Museo Archeologico Nazionale – Napoli

Tra le diverse tipologie di morso che sono state individuate nella Grecia classica una appare particolarmente caratteristica. La si vede nel celebre mosaico di Alessandro, rinvenuto nella Casa del Fauno di Pompei, raffigurante la Battaglia di Isso, che oppose il condottiero macedone a Dario III di Persia (nel 333 a.C.). Lo contraddistinguono vistose guardie in forma di S. Gli estremi di ciascuna di queste guardie erano piegati uno verso l’esterno, l’altro verso l’interno. La punta rivolta verso l’interno probabilmente passava sotto il mento del cavallo. L’imboccatura era particolarmente severa ed era costituita da due cannoni snodati, sui quali erano imperniati due cilindri girevoli irti di punte (echinoi), che poggiavano sulle barre, e due dischi (trochoi), che agivano sulla lingua e impedivano al cavallo di chiudere la bocca per resistere all’azione del morso. Agli anelli (sumbolai) di snodo dei due cannoni era inoltre legata una catenella che, stimolando la lingua dell’animale, serviva a incoraggiare la mobilità della mascella e la salivazione. I montanti della testiera venivano assicurati a quattro anelli sulle guardie, mentre le redini venivano fissate a caratteristici ganci, che ruotavano liberamente attorno agli estremi dei due cannoni.

Dettaglio del Mosaico di Alessandro che mostra un cavallo con un morso corinzio
Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Alcuni morsi con guardie a forma di S sono rappresentati già in bassorilievi assiri della metà del VII secolo a.C. Guardie di forma simile, ma in legno e con gli estremi scolpiti in forma di teste di animale (datate tra il V e il IV secolo a. C.) sono state trovate anche nelle tombe a tumulo di Pazyryk, nei monti Altai in Siberia. Sulla base delle raffigurazioni ritrovate sui vasi, si ritiene che questo tipo di morso sia stato introdotto dai Corinzi per poi diffondersi rapidamente in tutta la Grecia. D’Altra parte la leggenda del morso divino con cui Bellerofonte riuscì a domare Pegaso è particolarmente legata a Corinto e lo stesso Pindaro avvalora la tradizione che collocava proprio in quella città l’invenzione del primo morso.

Bibliografia:

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BUGH, Glenn Richard, The Horsemen of Athens, Princeton, Princeton University Press, 1988.

GAEBEL, Robert E., Cavalry Operations in the Ancient Greek World, Norman, University of Oklahoma Press, 2002.

SENOFONTE, L’arte della cavalleria. Il manuale del comandante della cavalleria, a cura di G. Cascarino, Rimini, Il Cerchio, 2007.

SESTILI, Antonio, L’equitazione nella Grecia antica. I trattati equestri di Senofonte e i frammenti di Simone, Firenze, Atheneum, 2006.

SPENCE, Iain G., The cavalry of Classical Greece. A social and military history, Oxford,Oxford University Press, 1993 .

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