Quattro millenni di civiltà equestre in mostra (parte 2)
di Giovanni Battista Tomassini
Guarnizioni d’oro di finimenti d’epoca ostrogota, morsi e staffe vichinghe, rari morsi e guardie cinesi antiche, sono tra i pezzi più straordinari esposti per la prima volta nella mostra Il Cavallo: 4.000 anni di storia, alla Pinacoteca Züst, vicino Lugano
È sicuramente la sezione archeologica, la parte più straordinaria della Collezione Giannelli di morsi antichi. Nella prima parte di questo articolo, abbiamo visto passato alcuni dei pezzi di maggior pregio esposti nella mostra alla Pinacoteca Züst per la prima volta, provenienti dall’Europa e dal vicino Oriente. La Collezione Giannelli comprende però anche alcuni preziosissimi reperti antichi provenienti dall’Estremo Oriente. A cominciare da due rarissime guardie in bronzo, risalenti alla dinastia Shang, databili intorno al 1.100 a.C.
Di questa sezione della collezione fanno parte diversi morsi, alcuni con i cannoni elegantemente incisi a tortiglione e due squisite teste di cavallo in terracotta, esattamente datate con il metodo della termoluminesceza tra il 206 e il 220 a.C.
Nella mostra erano poi esposti una notevole varietà di morsi d’epoca romana. Particolarmente rari visto che si tratta di esemplari in ferro, molto più deperibili dei più antichi morsi in bronzo. Sorprende l’uso di cannoni costituiti da rondelle girevoli irte di punti e incuriosisce la forma di alcuni morsi, che sembrano prefigurare le briglie moderne con guardie lunghe, ma ancora privi di barbozzale. Si tratta di morsi dall’aspetto molto severo (al limite della tortura) e la cui funzionalità è ancora piuttosto misteriosa.
Davvero splendido un frontale d’epoca romana, con “psalion” (museruola metallica), che nella mostra è esposto assieme a due paraocchi, sempre in bronzo, per dare l’idea della magnificenza di una bardatura romana da parata.
Altrettanto, se non più, sfarzose erano le bardature in uso presso i popoli cosiddetti “barbari”. La collezione Giannelli presenta due rare parure di placchette decorative per finimenti in oro e granati, di epoca ostrogota (V-VII sec. d.C.). Una è completa di filetto in ferro, con guardie in bronzo, ed esposta montata su una testa di cavallo, per rendere il senso e la disposizione delle preziose decorazioni.
Incuriosisce poi una vetrina che presenta morsi, speroni e staffe vichinghi. Oltre a essere dei formidabili navigatori, i Vichinghi erano infatti anche abili cavalieri. Trasportavano le loro cavalcature sulle navi, legate una accanto all’altra e probabilmente già sellate. Appena raggiunta la terra, le impiegavano per le loro temibili incursioni. Va notato che quelle presentate nella mostra sono le staffe più antiche documentate nella Collezione Giannelli.
E a proposito di staffe, la mostra espone degli esemplari davvero singolari e rari. Si tratta di strane staffe a forma di croce (“estribos de cruz”) in ferro, forgiato, inciso o traforato. Furono in uso in Messico tra il XVI e il XVIII, quando vennero infine bandite, perché considerate blasfeme, per la loro forma che evocava la croce. La Chiesa cattolica ne ordinò la distruzione, pena la scomunica. Proprio per questo gli esemplari rimasti sono estremamente rari. Una di quelle che fanno parte della Collezione Giannelli porta il marchio con il quale erano contrassegnate le armi di Pedro de Alvarado y Contreras (1485/1495 circa – 1541), condottiero spagnolo, che partecipò alla conquista di Cuba (1510-11) e a quella dell’Impero Azteco da parte di Hernán Cortés (1519-1521) e fu governatore del Guatemala. È tristemente noto per a crudeltà con la quale trattò le popolazioni native del Centro America.
La mostra presenta poi la cospicua raccolta di morsi rinascimentali e barocchi che fanno parte della Collezione Giannelli (della quali abbiamo diffusamente parlato in occasione della Mostra di Travagliato e della pubblicazione del volume Equus Frenatus). Questa sezione si è recentemente ulteriormente arricchita di un magnifico frontale in ferro, risalente al XVI secolo, su cui campeggia lo stemma della famiglia Piccolomini.
Molto bella anche una sella del tipo à piquer, in cuoio e velluto cremisi, risalente al XVIII secolo, perfettamente conservata. Colpiscono le dimensione della sella, che testimoniano di cavalieri probabilmente di corporatura relativamente minuta.
La mostra conferma insomma l’eccezionalità della collezione messa insieme con pazienza e competenza da Claudio Giannelli. Un patrimonio davvero unico, che meriterebbe un’esposizione permanente in museo che finalmente documenti in modo completo e scientificamente attendibile il plurimillenario rapporto tra l’uomo e il cavallo. Un museo che, purtroppo, da tempo si progetta di istituire in Italia e che, a dispetto del contributo fondamentale che in passato la cultura italiana ha dato alla civiltà del cavallo, a tutt’oggi non si è riuscito a realizzare per la scarsa considerazione in cui la cultura equestre viene attualmente tenuta nel nostro Paese.